Mondo

Questa guerra non mi rende giustizia

Robert McIlvaine, il padre di una delle vittime dell'11 settembre, in una testimonianza per VITA, in anteprima dal numero del magazine in edicola da oggi. Testo raccolto e tradotto da Paolo Manzo

di Redazione

Robert McIlvaine è il padre di una delle 2.800 vittime delle Twin Towers. Oggi è un convinto attivista no war. Perché lo è diventato? Perché non considera la guerra un atto di giustizia? Lo ha spiegato in questa testimonianza a Vita. Leggi l’intero sommario del numero in edicola. Non mi definirei un pacifista. Mio figlio è morto al World Trade Center. E mio figlio era una persona normale, pura, un intellettuale. Aveva un lavoro alla Merrill Lynch. Dopo l’11 settembre, ho cercato di dare un senso all’accaduto. Sappiate che è stata una pena insopportabile. Una perdita insopportabile, la perdita del mio mondo? perché mio figlio era semplicemente una persona meravigliosa. Ma per trovare un senso in quanto accaduto mi sono detto: sai, Robert, forse questa è l?opportunità di cui aveva bisogno il mondo. Una finestra che si apre sul mondo, una possibilità per la pace. Perché tutti sulla terra sono contrari a quant?era accaduto e, in quei giorni, c?era una solidarietà fenomenale con gli Stati Uniti. Se non fossero morti i 19 che hanno commesso quell?atrocità, li avremmo portati di fronte alla giustizia, mi dicevo, mentre tutti i Paesi del mondo avrebbero detto: «Dio mio, forse è meglio smettere di ospitare il terrorismo, è tempo di aprire i nostri Paesi a ideologie più aperte». Questo pensavo dopo l?11 settembre: che sarebbe stata un?opportunità degna affinché la morte di mio figlio non venisse sprecata. Invece, purtroppo, gli Stati Uniti hanno chiuso quella finestra sul mondo. Io non sono stato a favore dell?intervento in Afghanistan e adesso stiamo combattendo un?altra guerra. Ma le bombe non possono essere la risposta. Ci ho messo molto tempo per arrivare al gruppo umanitario Peaceful Tomorrows. L?ho fatto perché volevo essere ascoltato, e i parenti delle vittime dell?11 settembre da queste parti sono ascoltati. L?ho fatto perché tanta gente non dica più, come oggi: «un buon arabo è solo un arabo morto». Per oppormi a chi la pensa così, io ho una buona tesi da opporre. Il problema degli Usa di oggi, lo dicono le statistiche, è che il 43% della gente crede che Saddam abbia avuto legami diretti con l?11 settembre. E questa è una disinformazione. Forse chi guida questo Paese capirà un giorno che questa guerra è la fine, e comincerà ad ascoltare la vera democrazia, quella della gente che scende nelle strade. È sorprendente vedere come il mondo arabo si stia unendo, come il Sud America si stia unendo, come contro questa guerra tutti si stiano unendo. In tutto il mondo. Io non sono per la pace a 360°. È ovvio – lo dice il diritto internazionale – che se un Paese è attaccato ha tutto il diritto di difendersi. Ma di certo non è questo il caso degli Stati Uniti contro l?Iraq. E non m?importa nulla di ciò che dicono in tv. I principali mass media negli Usa sono brutali, e c?è bisogno di rivolgersi ai media alternativi per avere informazioni adeguate. Odio vedere soldati e gente innocente che muore. Sinora non c?è stato nessun amico, né conoscente che abbia detto qualcosa, contro le mie idee. Nessuno. Credo che rispettano il fatto che ho perso mio figlio alle Twin Towers. Io non voglio vendette. Io voglio giustizia. È questo che dovrebbero perseguire gli Stati Uniti e il mondo: giustizia, non vendetta.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA