Da anni si dedica agli altri, in silenzio, sfidando spesso preconcetti, anche il mio. Tornata a casa, mi telefona e divertita mi racconta una delle sue avventure quotidiane. Quel pomeriggio aveva finito di “lavorare” in un quartiere della periferia milanese. Me la immagino, e mi viene da sorridere. Come ogni volta il marito era passato a prenderla e destino volle che, sceso dalla macchina, scattasse in automatico l’allarme. Capita a volte. Beh, quel giorno capitò alla mia amica Sabah. E proprio in quel momento passa una gazzella dei carabinieri che giustamente si ferma. «Documenti prego. Dove andate? Da dove venite?». La prassi.
La mia amica porta il velo e il marito è un po’ troppo barbuto per i miei gusti: insomma, potrebbero passare per i “classici terroristi”. Ma il bello deve ancora venire. Un gruppo di persone assiste, e commenta: «Te pareva se non erano loro. Ma pensa te, vanno in giro con il macchinone, e poi come sanguisughe vogliono le nostre case popolari. Io li sbatterei tutti fuori a calci in cu…».
È dovuto intervenire il “don”, anche lui presente, per calmare gli animi e riportare il gregge sulla retta via. Sabah era divertita: il don la conosce bene, visto che da quattro anni Sabah si dedica agli “altri”, facendo la volontaria assieme ad altri italiani e non, cristiani e non, presso un centro di accoglienza. Aiuta e ascolta tutte quelle persone che spesso non chiedono altro che essere guardate diritte negli occhi o sentirsi dire «forza, dai, non sei solo».
La mia amica, seppur con il velo e con un marito un po’ troppo islamico – almeno all’apparenza – è proprio una brava cristiana (calmi, calmi, uso un modo di dire: lei è musulmana doc). Almeno lei lasciatemela in pace, è un angelo. Ma che dire, forse la gente che insultava a vanvera non lo sapeva… Sabah ride, mentre me lo racconta, e anche in questo dimostra di che pasta è fatta. Io avrei fatto una scenata.
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