Dat, ovvero Dichiarazione anticipata di trattamento. La bozza che viene discussa in commissione Sanità al Senato
è garantista. E finalmente comprensibileUn testo garantista, che porta i segni di una discussione lunga 18 anni, che ha imparato a evitare le parole scivolose e che si limita a dare un quadro normativo per lo status quo, creando uno strumento abbastanza complesso (le Dat – Dichiarazioni anticipate di trattamento devono essere sottoscritte in presenza di un medico e di un notaio) per rinunciare a ciò a cui già oggi si può rinunciare: trattamenti sanitari sproporzionati, futili, sperimentali, altamente invasivi o invalidanti. E tuttavia avere una legge non è cosa da poco.
La bozza Calabrò, poi, punto di partenza per una legge sul testamento biologico, un pregio indiscutibile ce l’ha: si capisce. Il relatore, Raffaele Calabrò (Pdl), ha infatti presentato un testo che nell’impianto e nel linguaggio si discosta dagli 11 ddl depositati in Senato e che esprime con chiarezza estrema i principi-base su cui si fonda. Si potrà essere d’accordo o meno sui contenuti, la discussione parlamentare servirà a quello, ma partire con un testo comprensibile è un buon inizio per una legge che tocca così da vicino il sentire delle persone.
L’indisponibilità della vita
La novità più grossa sta nell’articolo 1: un cappello inedito, forte, che definisce il diritto alla vita come «inviolabile e indisponibile». Due aggettivi che arrivano pari pari dal ddl presentato alla Camera dai teodem del Pd, Binetti, Bobba e Carra in testa. Nello stesso articolo però si garantisce la «dignità della persona umana riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina», riconoscendo quindi che la medicina a volte, con i suoi progressi tecnici, può prolungarti sì la vita, ma riducendoti in condizioni indegne. Per questo la legge, e sono i due articoli successivi, vieta esplicitamente da un lato l’eutanasia e il suicidio assistito e dall’altro l’accanimento terapeutico: cosa già prevista dai codici deontologici medici, ma non da una legge, e che oggi è temuto più dell’abbandono terapeutico. Nulla di nuovo su cosa sia «accanimento terapeutico»: trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci, non adeguati alle condizioni del paziente. Sono gli aggettivi che da sempre lo definiscono e che quindi, domani come oggi, obbligano a valutare ogni situazione caso per caso, senza a priori: difficile, ma necessario per fare una scelta giusta. La novità però è che si può rinunciare anche ai trattamenti che «potenzialmente» potrebbero essere accanimento terapeutico.
Dall’autoderminazione all’alleanza
Sempre nell’articolo 1 troviamo il concetto che, secondo la legge, fonda la possibilità di fare testamento biologico: non il principio di «autodeterminazione» (bandiera della discussione nella passata legislatura, ora sparita) ma quello di «alleanza terapeutica» tra medico e paziente. È in questa cornice, mai così enfatizzata prima d’ora, che si iscrive il diritto del paziente a «partecipare all’identificazione delle cure più appropriate» e quindi a dare e revocare il consenso ai trattamenti sanitari e quello a mettere nero su bianco le proprie volontà per quando non sarà più in grado di farlo. Si passa cioè da una visione solipsistica dell’individuo, che decide da sé, a una relazionale, per cui la persona decide entro una cornice dialogica con il medico: tant’è che le Dat – Dichiarazioni anticipate di trattamento devono essere redatte in presenza non solo di un notaio, ma anche di un medico, che ci abbia adeguatamente informato. Una complicazione da un lato, una garanzia dall’altro: sta a vedere se e dove troveremo un medico disposto a venire gratuitamente con noi dal notaio? Dalla centralità dell’alleanza terapeutica discende che le Dat devono essere aggiornate ogni tre anni e che non sono vincolanti per il medico, che le valuta ma continua a decidere in scienza e coscienza: non è l’obiezione di coscienza che voleva la Binetti, ma quasi.
Alimentazione e idratazione
Solitamente viene presentato come il punto più acceso del contendere, mentre nella bozza Calabrò resta il compromesso già trovato, politicamente, nella scorsa legislatura: a idratazione e alimentazione non si può rinunciare perché sono finalizzate ad alleviare le sofferenze e quindi rientrano nelle cure palliative. D’altronde anche il ddl di Ignazio Marino (Pd), paladino del testamento biologico, sul tema glissava, facendo una sostanziale retromarcia. Insomma, forse questa è davvero la volta buona.
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