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Questa consultain stileBruno Vespa

Islam italiano Le ragioni di un fallimento

di Redazione

Costituire una Commissione per venire a capo di qualche problema, da che mondo è mondo e un po’ dappertutto – ma soprattutto in Italia negli ultimi tempi – può destare più legittime perplessità che ragionevoli speranze? La Consulta per l’Islam non ha fatto eccezione, sia all’atto del suo insediamento e nel primo periodo delle sue attività sotto il precedente e robusto governo, sia col successivo debole e recentemente decaduto esecutivo. Qualsiasi strumento, per essere efficace, dovrebbe venir progettato ad hoc per l’uso che se ne vuole fare: non si fabbricano – ad esempio – sottomarini per farli volare (magari ci si può anche riuscire, ma con sforzi e spese tali da rendere l’impresa improponibile, a meno che non si intenda espressamente mettere in atto un’impresa demenziale).
La composizione, le funzioni e la gestione di questo organismo lo han portato a riprodurre su scala ridotta le problematiche che affliggono in generale da sempre il variegato panorama dell’islam nostrano: grande frammentazione, scarsa rappresentatività, conflittualità tra varie sigle, opposizioni ideologiche e via dicendo. Da quanto se ne è potuto sapere, la Consulta è stata una specie di «Porta a porta» recitato da pochi e per pochi, bizzarramente arruolati a beneficio di polemiche mediatiche molto lontane dal vissuto reale delle comunità e di scarso effetto per la società che le ospita: le une e l’altra si son viste tutt’al più riprodotte nelle loro logiche inadeguate e nelle riserve mentali che le hanno finora paralizzate, dilatando un generale sentimento d’impotenza che già pervade molti altri settori dello scenario nazionale. Lo scollamento tra le istituzioni e il Paese reale si è riprodotto ancora una volta, a dispetto delle intenzioni che almeno in alcuni sono state sicuramente nobili, affiancate talvolta da innegabili competenze.
La Carta dei valori recentemente messa a punto da un comitato scientifico ha visto impegnati, ad esempio, alcuni esperti di indubbia capacità e degni di fiducia. Quel che non si riesce a comprendere è se davvero la cosa di cui c’era maggiormente bisogno fosse proprio un’ennesima dichiarazione di principi. Una delle più grandi forze che agiscono nella storia – come fa dire Tolstoj a uno dei personaggi di Guerra e Pace – è la forza d’inerzia. Per rimediare a questa tendenza occorrerebbe investire in progetti veramente innovativi, che partano dal basso valorizzando le energie che già si trovano sul terreno, fortemente collegati con il vissuto quotidiano dei singoli e delle collettività e capaci di dare una soluzione rapida ed efficace a situazioni concrete. Il successo di queste iniziative rappresenterebbe un modello a cui altri potrebbero ispirarsi per moltiplicare gli esiti di buone pratiche a livello più generale. Vi sembra poco? Non è forse quello che ogni giorno facciamo per mandare avanti le nostre famiglie, progettare attività di studio o di lavoro, praticare sport, hobby o qualsiasi altra cosa? Perché mai i macro problemi dovrebbero essere gestiti in base a criteri diversi dal semplice buon senso, dalla sperimentazione che si sviluppa dal piccolo al grande mediante un processo per prove ed errori?
L’homo islamicus di tipo A o tipo B di cui si discute non verrà prodotto da nessun laboratorio, né tantomeno da alcuna ideologia politicamente corretta. Quello che già cammina tra noi è facilmente di un modello che non rientra in nessuno dei due, probabilmente meno definibile di quanto si vorrebbe (e che ci auguriamo non debba rientrare a tutti i costi nel fantomatico cliché del “musulmano moderato”, qualsiasi cosa si voglia intendere con questa espressione), sicuramente dotato di caratteristiche e potenzialità che vanno ben oltre ogni tipo di teoria? ma il suo guaio è che appunto cammina nel mondo reale e non sta seduto in nessuna commissione.

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