Sostenibilità

Quest’uomo vendeva sotto falsi sorrisi

Banca 121, nel 2000 aveva preso l’Oscar di bilancio sociale. Oggi Lorenzo Gorgoni, suo presidente, è indagato per truffa aggravata per alcuni prodotti finanziari lanciati dal suo istituto.

di Ida Cappiello

La cronaca economica recente sta dimostrando una verità scomoda: il bilancio sociale non è una prerogativa delle aziende irreprensibili. Sul report ambientale Parmalat, pubblicato per la prima (e speriamo non l?ultima) volta nel 2002, è fin troppo facile ironizzare, leggendo nella presentazione di Calisto Tanzi frasi come «il nostro obiettivo è rispettare la legislazione vigente nei diversi Paesi in cui operiamo». Ancora in uno degli ultimi cda di Collecchio, pare che lunghe discussioni siano state dedicate alle foto da inserire nel prossimo bilancio ambientale! Ma ci sono altri casi di totale scollamento tra le carte e la realtà. L?accattivante bilancio sociale 2002 del gruppo Monte dei Paschi di Siena (insignito dell? Oscar di bilancio un anno prima) affronta così la questione dei prodotti finanziari della controllata Banca 121, sotto accusa per truffa ai danni di decine di migliaia di risparmiatori: «L?incidente di percorso collegato alle criticità emerse nella commercializzazione di alcuni prodotti del gruppo non ha minimamente intaccato la solidità dei nostri principî…», si legge nella relazione del presidente Pier Luigi Fabrizi. La stessa Banca 12, allora presieduta da Lorenzo Gorgoni, indagato ora per truffa aggravata, aveva ricevuto l?Oscar nel 2000 .
Telecom, un pioniere della rendicontazione agli stakeholder, pubblicava nel 2001 il documento ormai di routine: i suoi padroni di allora, il supermanager Roberto Colaninno e il finanziere bresciano Emilio Gnutti, sono accusati dalla Guardia di Finanza di avere incassato, poco tempo dopo, una plusvalenza miliardaria dalla vendita di Telecom alla Pirelli, senza pagarci le tasse. Un peccato forse non dei più gravi, soprattutto nella cultura del Belpaese, ma pur sempre – se sarà confermato – una smentita delle dichiarazioni di lealtà verso lo stakeholder Stato, presenti nel bilancio. Che dire? Senza voler mettere alla sbarra un?intera categoria, è inutile negare che lo spettro di una Tangentopoli economica rischia di togliere credibilità a uno strumento che cominciava appena adesso a costruirsela.
«Servono bilanci veritieri, non sociali», ha detto in proposito un autorevole esponente della comunità finanziaria. Eppure il bilancio ambientale Parmalat raccontava davvero tante iniziative di csr lanciate in giro per il mondo: dall?impegno contro l?Aids in Zambia, finanziato devolvendo una somma fissa per ogni cartone di latte venduto, ai progetti di sicurezza ambientale dei lavoratori negli stabilimenti italiani e sudamericani. A Collecchio le bocche sono cucite, persino su questi temi. Ma abbiamo seguito le tracce di un progetto più recente, ?La bontà fa scuola?, in favore dei bambini eritrei, che ha l?obiettivo di dare alle comunità locali edifici scolastici e attrezzature didattiche. L?Unicef, coordinatore del progetto, ci ha confermato che l?azienda non solo ha rispettato gli impegni, ma è andata oltre.«Il progetto prevedeva la raccolta di 250mila euro», ha spiegato la funzionaria Donata Lodi, «ma con l?ultimo versamento, del giugno 2003, abbiamo superato i 300mila euro».
Fino a che punto, allora, un bilancio sociale può ?salvarsi? in contesti aziendali discutibili? «Il report di Parmalat è davvero un paradosso, data l?enormità del caso», risponde Matteo Bartolomeo, partner di Avanzi. «In generale, è vero che in un sistema complesso come un?azienda possono esserci aree critiche incoerenti con i valori espressi dal bilancio, ovvero nessuno è perfetto. L?importante è che esista la volontà strategica di investire sulla csr: se non c?è, dal bilancio lo si vede. Faccio tre esempi: se non contiene obiettivi misurabili di performance sociale, se rendiconta solo una piccola parte dell?universo aziendale senza spiegare perché, se non viene presentato all?assemblea degli azionisti, allora è un bilancio sospetto».

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