Welfare

Quest’anno a scuola sono tutti più buoni

Sussidiarietà alla prova. Non c’è solo la Lombardia. Buoni scuola o assegni di studio, molte regioni italiane si sono attrezzate per venire incontro alle esigenze delle famiglie.

di Gabriella Meroni

Quest?anno negli zaini di oltre 100mila studenti italiani non ci saranno solo libri, penne e quaderni. Per la prima volta, al suonare della fatidica campanella molti ragazzi saranno ?equipaggiati? anche con un buono scuola, cioè un contributo alle spese scolastiche che aiuterà loro, ma soprattutto i portafogli di mamma e papà, ad affrontare con più leggerezza l?anno che si apre. E non solo – ed è questa la novità principale – se il reddito familiare non è troppo alto e gli studi si svolgono in un istituto statale. Sono tre le regioni italiane in cui ha debuttato, o sta debuttando, una delle rivoluzioni più attese nel campo dell?istruzione: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna infatti hanno deciso proprio nei mesi scorsi di dotare i propri studenti di questo strumento innovativo per l?Italia. Ma con modalità profondamente diseguali. La differenza sta nel concetto stesso di contributo, che può essere il vero ?buono?, o voucher, oppure l?assegno di studio. La prima strada è stata intrapresa con decisione dalla Lombardia e, parzialmente, dal Veneto, regioni a guida polista; l?Emilia Romagna invece, dopo un?iniziale virata verso il buono, è stata costretta da una richiesta di referendum regionale a cambiare le carte in tavola, optando per il più tradizionale assegno, in vigore anche in altre zone d?Italia come per esempio il Friuli, la Toscana e il Piemonte. La differenza? Politicamente, è notevole. Se nel caso dell?assegno, infatti, la misura non fa altro che ricalcare i tradizionali sostegni economici per i meno abbienti (le borse di studio in Italia sono previste addirittura dalla Costituzione), il buono non consiste in una somma di denaro uguale per tutti, ma copre una percentuale fissa delle spese per l?istruzione (nel caso lombardo, il 25%) ed è destinato anche a famiglie con un reddito annuale elevato (in Lombardia fino a 300 milioni per chi ha tre figli, in Veneto 90 per tutti). Una caratteristica che rende il buono un?effettiva agevolazione per chi sceglie la scuola privata. Polemiche a parte, resta il fatto che il buono scuola ha avuto uno straordinario successo. Prendiamo il caso della Lombardia, la cui giunta ha dovuto affrontare un ricorso alla Corte Costituzionale del governo Amato contro la propria normativa sul buono («Punirò la Lombardia», aveva giurato il ministro De Mauro), datata luglio 2000, prima di poter dare il via libera ai contributi. Che sono partiti un anno dopo, a luglio 2001, dopo il ritiro del ricorso ad opera del governo Berlusconi. A beneficiarne sono oltre 70mila famiglie, di cui 65mila mandano i figli alle scuole private; la regione ha cominciato a rimborsare loro il 25% delle spese sostenute per rette, tasse e iscrizione, senza poter scendere sotto le 400mila lire e fino a un tetto massimo di 2 milioni (3 per gli studenti disabili). Tutti finiti nelle tasche dei ricchi? No. Il 75% dei beneficiari del buono appartiene a famiglie con un reddito inferiore a 30 milioni annui. Per una Lombardia che imbocca con entusiasmo la strada del buono ?puro?, c?è invece un?Emilia Romagna costretta a fare marcia indietro da una sollevazione politica guidata da Rifondazione comunista, che ha presentato una richiesta di referendum regionale temendo che la giunta, guidata dal centrosinistra, volesse agevolare le scuole private. Per evitare la consultazione, la giunta ha varato un?altra legge, approvata in via definitiva il 10 settembre, che prevede solo borse di studio da 250 mila per le elementari, 500 mila per le medie e 2 milioni per le superiori «di pari importo per tutti gli studenti, indipendentemente dal fatto che siano iscritti a un istituto pubblico o privato». Il tetto di reddito è 60 milioni lordi, e si cancella il contestato riferimento al «sistema formativo integrato». Quanti hanno beneficiato della ?vecchia? borsa? Nel 2000, oltre 11.200 studenti che, al contrario del caso lombardo, per il 95% frequentavano la scuola statale. Una norma di compromesso tra il buono scuola puro, alla lombarda, e l?assegno uguale per tutti dell?Emilia è quella escogitata dal Veneto, governato dal centrodestra. Qui il governatore Galan e i suoi fanno in fretta: a gennaio 2001 approvano la legge sul buono scuola, e a luglio staccano il primo assegno. Ad averne diritto sono tutte le famiglie con reddito inferiore ai 90 milioni, che possono ricevere dalle 400mila lire ai 2 milioni a seconda della fascia. Le richieste sono più di 15.700. Un riscontro impressionante, considerato che questi provvedimenti sono recentissimi ed entrati in vigore non senza molte difficoltà. Ci potremo contare anche per il futuro? «Certo», risponde sicuro il professor Stefano Zamagni, l?economista bolognese riconosciuto come uno dei maggiori studiosi dei sistemi di welfare. «Il voucher, cioè il buono che permette l?acquisto di servizi sociali, è il futuro dello stato sociale perché realizza la sussidiarietà. Non solo in campo scolastico». Ma non favorisce le famiglie ricche che scelgono le scuole private? «È il contrario. Il buono scuola, se ben applicato, consente invece ai meno abbienti di accedere un servizio scolastico costoso che altrimenti non potrebbero permettersi. Tanto è vero che in molti Paesi, come gli Stati Uniti, i più strenui nemici del buono scuola sono proprio i miliardari». Come mai in Italia il voucher è stato approvato dalle regioni governate dal Polo? Non sarà un po? di destra? «Per carità. Il voucher non è né di destra, né di sinistra, è semplicemente utile. Perché fa risparmiare lo Stato ma permette alla famiglia di acquistare servizi dai soggetti che meglio interpretano le sue esigenze». Un?idea da nobel Correva l?anno 1955 quando il futuro premio Nobel per l?Economia Milton Friedman, fondatore della scuola di Chicago, teorizzò per la prima volta l?utilità del voucher scolastico. Accantonata per un trentennio sotto la spinta delle teorie stataliste keynesiane, l?idea dei buoni riemerge prepotente negli anni Ottanta, quando Friedman viene nominato consigliere del presidente Reagan e membro del suo Economic policy advisory board. Il dibattito sul voucher è tuttora vivo negli Stati Uniti.


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