Economia

Quello che nessuno vi ha detto sulla manovra

editoriale

di Riccardo Bonacina

Tra una manovra annunciata, una scritta, un’altra emendata, ora possiamo ragionare finalmente su un testo scritto. Queste le nostre prime considerazioni.
Una manovra scritta altrove. Per la prima volta, una manovra economica nazionale è stata scritta altrove: dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca centrale europea. L’input (la necessità di tagli), le dimensioni (almeno 24 miliardi in due anni), le logiche (ridimensionamento delle spese pubbliche e tagli al welfare), sono state dettate da poteri sovranazionali. A Tremonti, il compito di condirla in salsa italiana, rimandando qualche problema al prossimo futuro e limando le pretese internazionali, poco più. A molti questo potrà piacere, a noi no. Val la pena ricordare che la manovra nasce per mettere una pezza ai disastri causati dalla casta globale della finanza e dei banchieri che in un anno ha prodotto una perdita di ricchezza globale di almeno 40mila miliardi di dollari e di 100 milioni di posti di lavoro, e per mettere al riparo la zona euro dalle folli speculazioni di chi non solo ha superato la crisi indenne, ma è riuscito a mantenere intatte le regole folli che permettono la speculazione e che ora detta input per le manovre nazionali sulla base dei suoi rating. Chissà perché l’ipotesi di una tassa sulle transazioni finanziarie non si fa davvero strada né a destra né a sinistra?
Lo Stato si ritira. Ci saremmo aspettati più coraggio e più applausi alla cura dimagrante cui saranno costretti gli apparati ministeriali e pubblici e quelli della politica. Pensiamo ai rimborsi elettorali dimezzati (così era stato annunciato, ora invece si prevede solo il 20% e dalle prossime elezioni), al taglio di qualche Provincia (ovviamente rimandato). Dove sono Di Pietro e gli altri? Ci saremmo aspettati più coraggio sul tema dei 27 enti inutili finiti nella lista degli istituti pubblici da accorpare o sciogliere prevista nella manovra e dei 232 enti, fondazioni e istituti di ricerca e culturali segnalati per essere privati dei finanziamenti. Misure che Napolitano ha chiesto con tutta la sua autorità di stralciare. Ma qualcuno davvero conosce cosa fa la Quadriennale di Roma o l’Ente teatrale italiano? Come scriveva Baricco un anno fa: «Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Che senso ha salvare l’Opera e produrre studenti che non sanno più chi è Verdi?». E se un’intera classe intellettuale e artistica che da decenni vive di rendita politica si rimettesse davvero al lavoro?
Se resta il deserto sociale. Il problema è che a fronte di uno Stato che si ritira (a noi la cosa non spiace), niente si fa perché non resti solo il deserto. Leggete il bel servizio a pagina 7 sull’articolo 10 della manovra, quello sull’invalidità. Per capire quanta retorica, irrealtà, astrazione e cattiva economia ci sia in quella norma e nelle parole che l’hanno accompagnata. Il welfare nella manovra economica compare solo come la più vasta operazione di controllo (altro che lotta all’evasione) messa in atto dallo Stato (500mila controlli previsti in tre anni sugli invalidi) e come funzione della pubblica amministrazione. Zero innovazione, zero sussidiarietà, zero famiglia, zero soggetti sociali. Ma allora ciò che resterà sarà solo il deserto. Auguri.

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