Mondo

Quello che le leggi non fanno. Femminicidio e allerta di genere

di Emanuela Borzacchiello

“Mi chiamo Bárbara e sono una donna di 38 anni, da 24 anni professionista, madre di due bambine, con un master e un dottorato in arte, e da alcuni giorni vittima di un sequestro, di una rapina e di una violenza sessuale. In questo stesso ordine, nello stesso giorno e dallo stesso uomo”.

Queste le parole con cui inizia la lettera che Barbara dirige al presidente del suo municipio. Parole inascoltate, tanto da trovare la forza di gridarle. Barbara, con l’appoggio delle sue amiche e dell’ organizzazione Las Libres, organizza una conferenza stampa, e con tutta la forza che le rimane, inizia a raccontare.

“Il 4 aprile del 2014 ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia, quando, in macchina, fuori della panetteria dove stavo andando a comprare il pane con le mie figlie, un uomo sconosciuto mi ha sequestrata”.

Barbara riesce a fuggire. Mente lucida e cuore a pezzi. Mentre lui telefona per chiedere i soldi del riscatto, Barbara scappa. Prima della fuga, c’è stato il tempo infinito di minaccie, una pistola puntata al collo e il fare tutto quello che ti diceva. Fugge e cerca una pattuglia della polizia, recupera la sua vita e cerca aiuto.

“Ero ancora poco distante dal luogo della violenza quando incontro la polizia. Gli dico tutto quello che succede, gli fornisco la descrizione dell’agressore e il riferimento preciso del luogo dove mi trovavo. Gli ho chiesto infinite volte che andassero a cercarlo, ma quando mi hanno incontrata non si sono più attivati per prendere il colpevole”.

Tutti sanno che le ore successive al delitto, sono fondamentali per ricercare le prove cruciali. Tutti sanno, ma non tutti fanno.

“Sottolineo che le prove biologiche e le impronte digitali non sono state rilevate, perchè la polizia municipale non ha fatto nulla per salvaguardarle nè per dirmi che lo facessi io”.

Dopo lo sturpo, è iniziata la seconda violenza: rivittimittazione.

“Quando denuncio non solo sequestro e rapina, ma anche e sopratutto la violenza sessuale, i funzionari iniziano a chiedere alla mia famiglia se io avessi un amante. Ipotizzano che mi fossi inventata tutta la storia per lasciare le mie figlie e andare via con qualcuno. La direttrice della polizia ha dichiarato che lo stato adempie tutti i protoccolli previsti dalla legge contro i femminicidi e ciascun polizziotto è stato istruito per questo. Se esistono i protocolli, perchè nel mio caso non sono stati applicati? I protocolli prevedono che la polizia possa non dare una risposta rapida alla localizzazione dello stupratore? I protocolli permettono di non salvaguardare le prove importanti per il caso? i protocolli permettono che si possano giudicare le vittime e che si possa ridurre la violenza sessuale a un problema di “minigonne”?”.

Barbara guarda avanti e a testa alta. Denuncia non solo il violentatore, ma tutto un sistema incapace di applicare la legge: perchè non sono stati capacitati per farlo i suoi funzionari, la polizia, gli operatori sanitari che prestano i primi soccorsi alla vittima, perchè non sono stati impiegati i fondi necessari per garantire quello che la legge prevede. Se il sistema non funziona a violenza segue violenza, e ce ne sono alcune che sono più difficili da metabolizzare di altre.

“Quando ho presentato la denuncia, mi hanno mandano da una donna, con il pretesto che tra donne ci capiamo meglio. E dopo avermi ascoltata, mi dice – cito testualmente: Barbi, io mi occupo da molto tempo di delitti sessuali e le donne a cui succede quello che dici sia accaduto anche a te, non hanno la tua fermezza, piangono. Io ti vedo abbastanza lucida, e in realtà mi sembra incredibile che ti sia successo quello che dici. Poi mi mandano dall’unità specializzata in delitti sessuali e attenzione integrale alla donna, rispetto a questa non ho nulla da commentare, solo que hanno troppo lavoro, i casi di violenza contro le donne aumentano ogni giorno”.

E allora cosa fare?

“La politica non dovrebbe essere quella di inviare più agenti, ma di lavorare per la prevenzione ed eliminare l’impunità. A cosa serve aumentare le unità specializzate se il resto di chi è nella Procuraduría de Justicia opera senza sapere nulla di cosa sia lavorare con prospettiva di genere? soprattutto se il primo contatto di una donna quando denuncia la violenza non è con una unità specializzata. Io sono una vittima, però voglio trasformare quello che mi è successo in qualcosa di positivo per la altre donne, lavorare per un sistema che davvero funzioni. Voglio esortare le vittime di violenza a denunciare, alle loro famiglie ad appoggiarle, alla società a non giudicarle, ad accompagnarle e ad alzare la voce”.

Questa storia è accaduta in Messico, città di Celaya, nello Stato di Guanajuato. Barbara è Bárbara Varela Rosales. Il presidente del suo municipio è Ismael Díaz Ordaz. L’associazione che l’appoggia si chiama Las Libres e difende dal 2000 i diritti delle donne messicane. Ma se copriamo per un momento suoni e colori, davvero le storie messicane ci sembrano così lontane?

L’allerta di genere

Nel 2013 con un gruppo di altre ricercatrici universitarie esperte in studi di genere, abbiamo analizzato le leggi sul femminicidio vigenti in diversi paesi e il loro impatto. Lo studio è stato condotto per il Parlamento Europeo ed è consultabile on line:

http://www.europarl.europa.eu/committees/en/femm/studies.html#menuzone

Personalmente mi sono accupata dell’analisi del contesto latinoamericano per l’Universidad Complutense de Madrid, rilevando che – in materia di violenza di genere – una delle migliori leggi fosse quella messicana, il cui carattere più innovativo è: l’allerta di genere.

Il procedimento dell’allerta, previsto da La Ley General de Acceso de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia (LGAMVLV), ha due obiettivi: che in un territorio determinato si realizzino un insieme di azioni governative di emergenza che abbiano come finalità quella di sradicare la violenza femminicida e che si attuino modifiche legislative urgenti finalizzate all’eliminazione dalla legislazione nazionale di tutti quei precetti che possano violare i diritti delle donne. Allerta di genere, ovvero riprendere la legge, analizzarla, sminuzzarla, evidenziandone tutte le mancanze e cercando di mettere in campo altre misure. Il procedimento per emettere la dichiarazione di allerta parte dalla richiesta di una inchiesta da parte delle organizzazioni che si occupano a livello nazionale e federale della difesa dei diritti umani, delle organizzazioni civili e degli organismi internazionali. L’inchiesta ha la finalità di dimostrare che in un determinato territorio esiste una violenza sistematica contro le donne, che esiste un contesto di impunità o di “consenso sociale” e che la violenza proviene da un insieme di condotte misogene che perturbano la pace sociale.

L’allerta di genere è una misura efficacie se realmente applicata. Affinchè non sia lettera morta, le organizzazione civili si mobilitano e la riempiono di efficacia. Per la prima volta in Messico nel 2014 è stata accettata la richiesta di allerta –per lo stato di Guanajuato– presentata da parte di l’associazione civile: Las Libres. Una richiesta presentata sulla base di prove e dei 75 casi di femminicidio avvenuti nel solo stato di Guanajuato nel 2013 e dei 14 casi del 2014.

Raccontare la storia di Barbara, denunciarla pubblicamente, significa lavorare per rendere efficacie la legge, significa cambiare quel contesto sociale che rende possibile la violenza e non se ne assume la responsabilità.

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