Mentre leggevo testi sull’Economia, mi sono imbattuto nel concetto di Felicità e subito mi è sembrato di poter guardare e spiegare le cose che esprimevo in modo diverso, migliore. Se c’è uno scopo nella vita di noi tutti, questo è di sicuro strettamente collegato nelle sue fondamenta alla felicità. Questo stato d’animo così appagante è alla base di tutti i nostri sogni e dei nostri desideri.
Per molti equivale a qualcosa di irraggiungibile, per altri non esiste, se non per piccoli attimi della nostra esistenza. La felicità è da sempre un argomento di discussione molto appassionante e tanti scrittori, filosofi e scienziati ci hanno lasciato il loro particolare punto di vista. Ci sono una serie di frasi esemplari sul concetto di Felicità e ne ricordo una che mi è rimasta impressa: “i soldi non fano la felicità”, lasciando al concetto di felicità solo un’accezione aulica ed eterea, sganciata dalla realtà e ad uso esclusivo dei sognatori. Ci ha pensato Woody Allen a farci tornare con i piedi per terra con la famosa frase
“Se la ricchezza non fa la felicità, figuriamoci la povertà”
Ma allora, se il ricco come il povero si scopre infelice, la felicità smette di essere un concetto economico, oppure è possibile che la felicità comprenda una sfera economica perché legata al ben-essere e al ben-vivere della persona? Cioè, è possibile che l’uomo cerchi la felicità in un contesto economico intriso di umanità e di equità?
Dunque è una questione di attese, di aspettative, di relazionalità e di reciprocità: il desiderio di vivere bene supera quello di essere ricco.
Certo, al tempo d’oggi questo risultato non può darsi per scontato, anzi viviamo in una società che ci costringe a “correre” e spesso invano, per raggiungere traguardi effimeri e che ci lasciano un vuoto dentro. La teoria del benessere legato al carrierismo, ha spinto gli uomini verso una irragiungibile perfezione ed ha fatto dimenticare le cose semplici, a partire dai rapporti fra le persone e dai rapporti fra le persone e le cose.
Avendo scoperto che questo approccio uccide il ben vivere, cominciamo a chiederci come conquistare oggi un pezzo di felicità e scopriamo che nella gerarchia dei traguardi non ci sono sempre e soltanto beni materiali, a cominciare dal denaro, ma beni immateriali, dei quali sentiamo sempre più la necessità per toccare il tetto della felicità. Come le relazioni con gli altri, i rapporti che ci legano in famiglia, ai compagni di lavoro, agli amici. A tutti coloro con i quali amiamo condividere qualcosa.
C’è oggi una domanda di vita semplice, fatta di piccole ma preziose cose: una casa dignitosa, il numero di oggetti giusti che servono, le camminate in compagnia. Un’alchimia della vita, insomma.
La felicità si conquista, insomma, se accanto alla sfera dell’intersse economico si sviluppa la sfera dell’interesse relazionale.
È la qualità di vita che ormai da qualche anno l’ISTAT indaga con i cd BES – “benessere equo e sostenibile” una misura complessa che integra la tradizionale valutazione della crescita economica basata sulla ricchezza economica, con indicazioni che derivano da altri domìni della vita dei cittadini italiani: i diritti, l’ambiente, la salute eccetera.
Queste misure, già oggi in maniera sperimentale, ma sempre più nel futuro, ci auguriamo, verranno utilizzate per valutare gli effetti della politica economica sulla qualità della vita dei cittadini. Se si vendono più armi, filo spinato, spray al peperoncino, sistemi d’allarme, assieme a servizi di sicurezza privati, sicuramente il Pil crescerà, ma davvero potremo dire che quella crescita rappresenta e misura un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini? Se una fabbrica di bombe viene riconvertita a produzioni civili, salvaguardando i posti di lavoro, questo avrà come conseguenza un aumento, una riduzione o sarà indifferente in termini di benessere complessivo? E gli interventi nella scuola, in sanità, nel welfare, quelli a tutela dell’ambiente, sono da considerarsi costi o investimenti? Se cambiamo lo strumento di misura, probabilmente cambieranno anche le nostre risposte a simili domande(Vittorio Pelligra L’economia della felicità e il paradosso di Easterlin – Il Sole 24 ORE)
Mi è rimasto impresso il calore del film La Ricerca della Felicità (2006) di Gabriele Muccino, con protagonista Will Smith, perché mi ha rivelato un modo di guardare la vita senza lasciarsi schiacciare dalle avversità e sperando una felicità sempre e comunque. Se il protagonista non avesse avuto con se il figlio (la sua àncora), non sarebbe stato capace di superare i disastri continui della sua vita. Ma quel figlio – se ci si pensa i figli, i genitori anziani, i disabili,… sono considerate “palle al piede” al mondo d’oggi – lo ha salvato e lo ha reso felice e fiero
Il sacrificio è l’essenza della vita e lo sforzo costituisce un ponte tra i realtà e felicità. Un percorso che sembra impossibile per la maggior parte degli uomini che godono di benefici già in partenza, anche prima di ottenere un lavoro vero e proprio. L’eterna favola del successo a portata di mano viene decostruita, diventa qualcosa di più complesso e credibile.
La felicità è un attimo e una volta passato bisogna tornare a cercarlo, in una ricerca che è l’essenza stessa della vita. La speranza di essere felice è essa stessa felicità e produce un benessere interiore che nessuna avversità può scalfire.
In questo approccio economico, la persona più fragile socialmente è la stella polare, indica la via, riceve dignità e non viene scartata bensì valorizzata.
Anche nelle condizioni più impensabili, laddove l’umanità prevale sulla bramosia, si può costruire un ambiente di vita, di lavoro, d’impresa in cui la felicità sia il perno del modello d’azione e riguardi tutti in maniera trasversale.
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