Economia
Quelli che il latte lo bevono senza bollicine
La battaglia per il mangiar sano vista dal presidente di Coldiretti
Replicabile, delocalizzabile, omologato. Come un’automobile. Il cibo dell’epoca globale è diventato un prodotto come un altro. Un errore di prospettiva che, secondo Sergio Marini, solo il ritorno a un’agricoltura legata al territorio può rimediare. Rimettendo al centro la fiducia tra produttori e consumatori
Non si lascia impressionare, Sergio Marini, alla notizia del latte con le bollicine (in sperimentazione in alcune città degli Stati Uniti). Ma certo non gli fa piacere. Lui che come presidente di Coldiretti è da anni alfiere di un cibo il meno manipolato possibile, consumato vicino al luogo della produzione, sa che la battaglia per un’agricoltura di qualità è lunga. «E il risultato non è scontato».
Vita: Come condurrete questa lotta?
Sergio Marini: Siamo convinti che occorra riacquistare una dimensione più territoriale dell’alimentazione evitando la manipolazione e la perdita di genuinità, riducendo i rischi alimentari, i costi energetici e ambientali. Perciò ogni paese deve ricostruire la propria agricoltura. Non è vero che si debba produrre sempre e comunque dove costa meno. Il G8 ha dato un segnale importante in questo senso. Speriamo seguano i fatti.
Vita: Se esiste il latte con le bollicine è perché qualcuno lo beve.?
Marini: Finché confondiamo l’alimentare con qualsiasi altro bene di consumo siamo sulla strada sbagliata. L’alimentare non può essere considerato un bene di consumo come un altro. Però finché non si vede l’alimentare come qualcosa di specifico e diverso, avremo cibo di scarsa qualità, ricco di coloranti e additivi, di grassi saturi, di quelle cose che fanno male e costano poco e abbelliscono il prodotto.
Vita: I consumatori dovrebbero capire che il cibo non è un’automobile. Come ci si arriva?
Marini: Come Coldiretti facciamo un percorso di educazione alla campagna amica. Che riguarda diverse centinaia di migliaia di ragazzi ogni anno. Penso abbia senso per un paese civile investire nella cultura dell’alimentazione. È un fatto non solo di piacere, anche di salute. Oggi le maggiori cause di mortalità o comunque di malattia sono legate a questioni alimentari.
Vita: Cosa manca perché questa attenzione diventi maggioritaria?
Marini: Occorre che qualcuno faccia dei passi indietro. Chi ha costruito il modello della standardizzazione ha fatto business. Un modello per il quale si compra la materia prima dove costa meno, a prescindere dai processi produttivi e a volte anche dalla qualità perché con la trasformazione poi si pensa di «sistemare», di «correggere» la materia prima per produrre cibo uguale per tutti. Su questo si regge un sistema alimentare mondiale, che ha lavorato per rendere tutto replicabile e delocalizzabile. Molta industria alimentare internazionale ha messo in piedi anche processi di concentrazione rispetto ai quali l’omologazione è inevitabile.
Vita: Tornare alla piccola azienda?
Marini: No, tornare a un’agricoltura locale e ad un alimentare che valorizzi la specificità non compromette l’import o l’export. Pensiamo a un sistema di imprese molto diffuso sul territorio, che si scambi prodotti diversificati, dove nessuno può detenere il monopolio.
Vita: Una ristrutturazione profonda.
Marini: Stiamo facendo la nostra parte. Nel momento in cui abbiamo messo in piedi il progetto di filiera agricola italiana abbiamo voluto segnare la nostra diversità. Noi ci occupiamo di agricoltura italiana unica per la sua qualità e per la sua tradizione. È un patrimonio che vogliamo inquadrare in una filiera più corta dove l’agricoltore possa, in forma singola o organizzata, effettuare i processi della prima e della seconda trasformazione. Accorciare la filiera significa anche affrontare due punti di debolezza: la contraffazione e la speculazione, che nel cibo non dovrebbe esserci ma che c’è. In Italia, solo il 17% di quello che paga il consumatore va alla parte agricola. Ovviamente se il consumatore riconosce un valore nel mio prodotto ho guadagnato anche io: ho un cliente che si fida di me.
Vita: La lista dei cibi creativi si allunga perché l’Unione europea lo consente.
Marini: È evidente che l’Unione europea è poco sensibile ai nostri temi. Non si capisce perché debba essere contraria all’etichetta. Noi non diciamo «comprate i prodotti italiani». Ma vogliamo sapere se la mozzarella è fatta con latte campano o bavarese. Poi il consumatore sceglierà. Sono scelte per noi assurde, figlie di quello di cui si parlava prima: in fabbrica, aggiungo sistemo e rendo tutto uguale.
Vita: La fabbrica luogo dell’alchimia.
Marini: Dove si ha il potere di trasformare tutto quanto. È per questo che serve una nuova centralità dell’agricoltura Non si deve confondere il consumatore rendendogli tutto uguale. Invece si rifiuta l’etichetta dicendo: «se scriviamo latte italiano o tedesco lediamo la concorrenza». Ma in verità chi danneggeremmo?
Vita: Chi non ha un marchio forte.
Marini: Chi non ha lavorato per costruire un’agricoltura di qualità. Ma è giusto mettere il consumatore in condizione di poter scegliere. Oggi avviene il contrario: con il latte tedesco si produce formaggio venduto con marchio italiano. Succederà che la pasta made in Italy oggi fatta senza grano italiano, domani non transiterà nemmeno più dal nostro paese.
Vita: Arriva il made in Lazio.
Marini: Va trovata la giusta dimensione. Fare un made in Lazio e pensare al mercato mondiale non ha senso. Diverso il discorso se quel made in Lazio è per dire: «comprate il prodotto a voi più vicino», «un made in Italy più vicino a voi».
Vita: Assieme ad altre associazioni avete elaborato un documento per il G8.
Marini: Stiamo facendo le pressioni che può fare un’organizzazione come la nostra. È diventata legge l’etichetta per l’olio d’olive. C’è una proposta per l’etichettatura del latte. Ed è un’altra battaglia contro le lobby.
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