Volontariato

Quelli che hanno detto no.

Le loro battaglie sono anche le nostre: dall' economia sostenibile alla pace, dalla cancellazione del debito dei Paesi più poveri alla lotta all’Aids e alla manipolazione genetica.

di Redazione

L?economista dei poveri diventato nobelora interroga la democrazia «L a vera sfida del 2000? Percorre fino in fondo la strada della democrazia. Portare a termine lo sforzo più grosso e significativo del ventesimo secolo». Parola di Amartya Sen, Premio internazionale dell?Etica 1990 e Nobel per l?economia nel 1998, che al nuovo millennio si affaccia con 66 anni e una lunga lista di interrogativi e riflessione sul vero rapporto tra denaro e felicità raccolti in un nuovo libro da poco uscito negli Usa, “Development as Freedom” (Sviluppo come libertà”, meglio, sviluppo come piena espressione delle libertà umane). «Quelle», spiega Sen, «che vanno ben al di là dei diritti umani e politici di base. Quelle fatte di facilitazioni economiche, opportunità sociali, sicurezza e protezione per le fasce più deboli». Lo strumento per realizzarli e creare veramente le condizioni per un equilibrio tra interessi umani ed economici? Una democrazia piena e partecipata. Oggi un principio universalmente accettato ma non altrettanto diffusamente applicato!. Prova ne sia l?uso della parola democrazia fatto in tanti regimi non democratici: «Gli unici, con le dittature militari, a causare ancora carestie e morti per denutrizioni». Quelle che Amartya ha conosciuto da bambino in India, sua terra natale, e da studioso alle università di Jadavupur, Nuova Delhi, Cambridge, Oxford, Berkley e Harvard. Il risultato di questa esperienza sono tre buone motivazioni per continuare a lavorare sulla democrazia: le libertà politiche che l?accompagnano sono una parte importante della libertà in genere, garantisce che anche le fasce più deboli della popolazione ricevano un?adeguata attenzione politica, contribuisce alla formazione di valori e priorità con il dibattito pubblico e la partecipazione responsabile. Una garanzia che nel nuovo secolo non ci siano più generazioni scomparse per fame. Dopo ?Povertà e Carestia? (1981) e ?Sull?etica e l?economia? (1987), insomma, Sen rilancia al mondo la sua nuova provocazione: il denaro non è l?unità di misura per ogni cosa. «Basta guardare alla società dello Sri Lanka», spiega il premio Nobel, «dove entrate e reddito pro capite sono molto basse ma aspettativa di vita, condizioni sociali e rispetto dei diritti umani sono molto meglio che in Paesi più sviluppati e ricchi, tipo il Brasile». Dal Kosovo alla strada: l?ultima battaglia del prete riminese che libera le schiave S ulla strada. In missione. In comunità. In Kosovo. Don Oreste Benzi non sta mai fermo, vero campione di quella parte di genere umano che non conosce soste né risparmi: dove c?è bisogno «di servire», lui va. Quest?anno come negli ultimi 46 che sono trascorsi da quando, a Rimini, riunisce i primi gruppi di ragazzi da educare alla luce di Gesù «povero e servo». Fondatore di una delle più importanti realtà di accoglienza d?Italia, la comunità Papa Giovanni XXIII – 166 case famiglia, 27 comunità terapeutiche, 15 coop sociali – don Oreste ha creato una grande squadra di volontari pronti a partire sempre, come lui. In Kosovo, ad esempio, i ragazzi dell?Operazione Colomba c?erano andati ben prima della guerra, quando già le case fumavano per gli incendi dell?odio etnico. Erano lì per riconciliare, ricostruire. Quindi quando cadono le bombe, a marzo, don Oreste denuncia il pacifismo ritardato di certi politici e la demagogia dei mass media. Aderisce alla campagna lanciata da Vita, ?Io vado a Pristina?, offrendosi di guidare la marcia dei 10 mila fino a Belgrado. Poi parte per un altro progetto: la libertà per le giovani schiave costrette a prostituirsi. Tutta l?estate la passa così, a convincerle a ribellarsi. Grazie a lui 1200 l?hanno già fatto, nel 1999, in cento. E l?8 dicembre, in piazza a Bologna, sfida tutti: «A Rimini la prostituzione non c?è più, perché non è così nel resto d?Italia? Liberare le prostitute si può, perché non lo fate?», ha gridato davanti alla polizia, al Comune, ai giornalisti. Poi via, di nuovo. Il giorno dopo la manifestazione, il 9 dicembre, viene a galla il caso della tredicenne siciliana incinta il cui tutore ha deciso l?aborto. Don Benzi non ci sta: lui quella ragazzina la conosce, da tempo è seguita dai volontari della sua comunità. È sicuro che lei quel figlio vorrebbe tenerlo. E allora via: il 15 dicembre vola in Sicilia, nomina dei legali, scopre che la ragazza non è interdetta, denuncia che nessun psicologo l?ha mai visitata, chiede la sostituzione del tutore, tira fuori una lettera in cui lei dice di volere il bambino, fa otto ore di anticamera davanti alla porta del magistrato che si occupa del caso. E alla fine vince: il giudice decide che l?aborto non si farà. «Se quella ragazza non sapesse dove andare, la adotterei io, col suo bambino», afferma. Non si fa fatica a credergli. L?Asterix dei contadini francesi che con le sue pecore ha vinto i grandi del wto Danielle Mitterand era accovacciata ai suoi piedi del tutto rapita, quando, davanti ad un Mac Donald?s di Seattle, in piedi sopra un?auto, José Bové arringava in perfetto inglese le migliaia di contestatori dei padroni del mondo del Wto. Quarantatré anni, baffi rossicci alla Walesa, pipa in bocca, berretto verde di lana dei campesinos, chi è questo allevatore francese di pecore che ha fatto impazzire i potenti a Seattle, mettendo d?accordo con i suoi discorsi trascinanti allevatori e sindacalisti, il movimento delle ?Nonne arrabbiate?e quello di Public Citizen? Bové era troppo giovane quando i suoi fratelli erano sulle barricate nel ?68: la sua vita da ribelle inizia nel ?70, a 15 anni, quando è fermato dalla polizia e portato in commissariato per una manifestazione pacifista in Savoia contro l?apertura di una base militare. Da adolescente le sue battaglie sono antimilitariste e nonviolente, contro l?energia nucleare, a favore dell?obiezione di coscienza. Ventenne, va a lavorare come obiettore (anche se per lo Stato francese era solo un disertore) dai contadini dei Paesi baschi per 5 franchi al giorno ed è proprio lì che gli nasce l?idea di diventare contadino. Da allora le lotte degli agricoltori francesi hanno un leader. Qualche anno dopo è insieme ai 100 mila contadini del Larzac (regione in cui oggi è allevatore e produttore di Roquefort con un reddito personale di oltre 22 milioni di lire al mese) che protestano contro l?esercito che vorrebbe espropriarli per un campo di esercitazioni militari. Lo slogan era ?Des mounton, pas des canons? (montoni, non cannoni). A 23 anni, insomma, Bové è ricevuto da Mitterand che ascolterà le sue ragioni, impedendo la costruzione del campo militare e scontandogli tutti i residui di pena accumulati in anni di proteste. «Come manca Mitterand, lui sì era un grande uomo e un grande statista», dice oggi Bové. «Jospin non capisce nulla dei movimenti sociali, basti guardare a come tratta la questione dei sans papier. Ma chi se ne frega, io non ho mai votato in vita mia». Jospin lo ripaga con la stessa moneta e spesso ripete: «Ma chi è questo Asterix? È un contadino o un attivista di professione? Mi sembra che la sua storia puzzi come il suo formaggio». Al rientro da Seattle a chi gli chiedeva del disinteresse di Jospin, Bové replicava: «Jospin? Non conta nulla come quasi tutti i politici, sono solo burattini. A me interessano di più le mie pecore e il movimento internazionale dei contadini». La mamma del Meeting Point di Kampala che cura donne e bambini malati di Aids N oelina per i suoi bambini è semplicemente ?la mamma?. Nel Meeting Point di Kampala, in Uganda, un centro d?accoglienza per orfani, malati di Aids, anziani e donne sole è lei ad organizzare le attività, l?assistenza, i corsi. Con l?allegria tipica delle donne africane, sempre più protagoniste dello sviluppo di questa terra, e la dolcezza di una grande madre: Noelina, 42 anni, sposata a sedici, ha otto figli suoi e ne ha adottati due, un fatto davvero inconsueto per l?Africa dove chi perde i genitori è destinato quasi sempre a far da sé. E gli orfani in Uganda sono tanti: il tasso di natalità è di 7,1 figli per donna, e l?Aids e le guerre hanno ucciso in 15 anni 3 milioni di adulti. Così a Kampala, la capitale, si radunano bande di ragazzini che vengono dalle campagne. La polizia fa continue retate per impedire la formazione di bande, e chiude i bambini in riformatorio, con il risultato di trasformare in criminali dei piccoli affamati. E proprio nel riformatorio di Random House mamma Noelina trova John, che aveva perso i genitori durante la guerra civile del 1985. Era affamato, impaurito e reso muto dal terrore. «Dimostrava dieci anni», dice Noelina, «ma non sapeva parlare ed era molto magro. Quando sono arrivata mi è venuto vicino, e le guardie mi hanno detto: portalo via, qui sta male. Non sapevo cosa fare, la mia famiglia è povera e avevo già sei figli. Ma poi ho portato John a casa. Era il 1993. Un giorno del 1994, una mattina, ero in casa e a un tratto vedo arrivare John che mi dice: ?Buongiorno mamma?. Ho fatto un salto: aveva ripreso a parlare! È stato l?amore, solo l?amore. Adesso John va a scuola ed è un bel ragazzo, alto e sportivo». Mamma Noelina di storie così potrebbe raccontarne altre 850, una per ogni orfano ospite del Meeting Point. Dove vengono curati anche 500 malati di Aids e 20 anziani invalidi e dove 100 donne imparano a leggere e a scrivere. «Il futuro dell?Africa è nelle donne», dice Noelina, che è anche presidente di una ong locale che collabora con l?italiana Avsi. «Le donne che studiano aumentano le loro possibilità di sopravvivere e quelle dei loro figli. Le nostre usanze vogliono che la donna non possa mangiare la carne né le uova, perché spettano all?uomo. Questo le indebolisce e le espone a malattie e a gravidanze a rischio. Studiando, le donne scoprono che è giusto che si nutrano, imparano l?igiene e la prevenzione delle malattie, compreso l?Aids, e sapendo leggere e scrivere trasmettono la cultura ai loro figli, mandandoli a scuola. Questo è lo sviluppo, questo è il futuro della nostra gente». La rockstar degli U2 ha trovato una causa per battersi conquistando Clinton e il Papa È un momento magico per Bono. Il leader degli U2 ha trovato una causa per cui battersi, e ne è orgoglioso. Sono passati diciotto mesi da quando Bono cominciò a interessarsi di un tema difficile, arido, fatto di complesse leggi economiche come la cancellazione del debito estero dei Paesi poveri. Gli economisti, i politici e gli accademici si affrettarono a spiegargli i come e i perché. Lui li ascoltò, ma capì bene soprattutto che bisognava fare qualcosa, e subito. Così insieme al suo vecchio compagno di battaglie sociali Bob Geldolf, si è dato da fare: ha incontrato Clinton, Tony Blair, Kofi Annan. E il Papa. «Io la penso così», ripete spesso il leader degli U2. «Se non ce la faremo, tutti questi festeggiamenti per il Millennio ci faranno assomigliare a Luigi XIV… staremo nel nostro castello e piscieremo champagne sulle teste di milioni di poveri. No, se è così io non voglio essere della partita». Bono potrebbe parlare ogni volta in uno stadio pieno di decine di migliaia di persone, eppure da quando ha aderito alla campagna Jubilee 2000 per la cancellazione del debito accetta di tenere conferenze ovunque, anche per pochi uditori. Certo, uno dei suoi occhi non si stacca mai dal gruppetto di fotografi che lo seguono ovunque. La celebrità è la celebrità. Ma la passione è autentica. In questo anno e mezzo di incontri ravvicinati, Bono ha ricevuto molti attestati di stima. Il ministro del tesoro americano Larry Summers diffuse una nota dopo averlo incontrato quest?estate, che suonava così: «Il signor Bono è un persuasivo e competente avvocato di una causa in cui crede con passione e che sa spiegare con profondità». «E sì che Summers non fu molto cortese con me», racconta Bono. «Quando mi incontrò alla Casa Bianca aveva il classico atteggiamento di uno che ?si occupa di cose serie?. Allora gli dissi che il Millennio gli offriva l?occasione di rompere alcuni schemi e affrontare problemi giganteschi… proprio la ragione per cui gli americani l?avevano eletto al Congresso. Ecco il mio vantaggio: sono un artista, ho i tempi giusti». La cancellazione del debito estero dei Paesi poveri è un obiettivo ambizioso che coinvolge almeno 40 nazioni come beneficiate, e le potenze industriali del mondo come beneficiarie. Ma le dichiarazioni a favore di una riduzione del debito fatte recentemente da due degli uomini più ascoltati del pianeta, Bill Clinton e il Papa, hanno contribuito a collocare il tema del debito tra le questioni morali da risolvere in fretta, in questi anni. In parte anche grazie all?impegno di Bono.


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