Welfare
quelle morti bianchebsono anche nere
lavoro Sempre più immigrati tra le vittime
174 stranieri deceduti nel 2007. Oltre 140mila
gli infortuni. I sindacati: «Ignorano i loro diritti» « D i fronte al fenomeno delle morti bianche, è doveroso tenere alta l’attenzione e non demordere nell’allarme sulla sua gravità sociale». È ciò che più volte il presidente Giorgio Napolitano ha ripetuto parlando delle vittime del lavoro, di cui si è appena celebrata la Giornata della memoria. Secondo i dati dell’Inail, nel 2007 i feriti sul lavoro sono stati 912.615, i morti 1.170. Di questi, 174 erano stranieri.
Le denunce di infortuni da parte di cittadini originari di altri Paesi hanno toccato quota 140.579, circa il 15% del totale. Un dato cresciuto dell’8,7% rispetto all’anno precedente e in controtendenza rispetto al -3,4% registrato per gli italiani. Per l’Inail ogni mille lavoratori stranieri si registrano 47 casi denunciati, contro i 41 degli italiani. Nelle graduatorie per nazionalità il Marocco ha il primato delle denunce, con 23.327 casi, seguito dalla Romania con 17.832. La classifica si inverte per i decessi: i rumeni hanno il triste primato con 41 morti, contro i 23 dei marocchini. Da notare gli 11 della Svizzera e i 6 della Germania, gli unici Stati economicamente avanzati presenti nei primi dieci posti.
Ma questi dati hanno il difetto di non essere esaurienti. «Incrociando ispezioni e irregolarità, gli incidenti saranno almeno un 30% in più», sostiene Guglielmo Loy , segretario degli immigrati della Uil. «Sono tanti i lavoratori clandestini che non si rivolgono neppure agli ospedali per paura di essere rimpatriati». Il problema è che gli immigrati sono più propensi a svolgere attività pericolose «perché, dopo aver visto la guerra o attraversato il mare su un gommone, hanno meno paura dei rischi», continua il segretario. «Spesso non hanno coscienza dei loro diritti, arrivano da Paesi dove non ne avevano e dove i sindacati erano corrotti. In più c’è un problema di lingua: se il capo grida “occhio alla corda”, non tutti lo capiscono». La soluzione? Per Loy una formazione più mirata e l’aumento dei delegati stranieri: «Hanno un diverso approccio, capiscono la cultura. Sono un aiuto indispensabile».
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