Cultura

Quelle fragole di Bergman belle come la vita

Recensione del libro "Il posto delle fragole" di Ingmar Bergman (di Antonino Piazza).

di Redazione

Un buon modo per ritornare su uno dei capolavori della storia del cinema, questa riproposizione della sceneggiatura de Il posto delle fragole di Ingmar Bergman. Una sceneggiatura importante perché valse al grande regista la consacrazione con l?apposito premio della Giuria di Cannes. Il posto delle fragole non è solo un grande film. è uno di quei rari film che non si possono non aver visto, per come hanno saputo affondare nell?immaginario collettivo, per come hanno saputo capirlo e interpretarlo. Le fragole sono le metafora della vita, di quella vita che il protagonista del film, il dottor Isak Borg, si è lasciato sfuggire di mano, quasi per aver barattato il successo professionale con l?aridità umana. “Sono morto pur essendo vivo”, è la sua confessione, fotografia di un realismo esistenziale di cui Bergman è stato interprete indiscusso. Che vantaggio c?è nel leggere oggi il film piuttosto che rivederlo? C?è il vantaggio indiscusso di poter centellinarne i dialoghi e le confessioni. Di capire quanto la vicenda del professore che si mette in viaggio a 67 anni per rivedere i luoghi della sua infanzia, smarrita, anzi tradita, sia una ricerca della verità di se stesso. Le parole risuonano tenere e insieme taglienti: “Non voglio però pretendere di essere diventato un paladino della verità. Piuttosto il contrario. Se per qualche ragione mi si domandasse un mio parere su me stesso, lo darei senza imbarazzo e senza riguardo per il mio prestigio personale”. Bergman non usa le parole solo per infierire, ma anche per intenerire. L?intrico della vita, alla fine, buca la tristezza proprio con l?energia di una fragola selvatica, minuscola, fragile, rossissima. Una minuscola fragola capace di schiantare lo scafandro logico-congetturale che ingabbia l?esistenza. Dalla sceneggiatura, che viene per la prima volta tradotta in italiano e che si rifà direttamente al dattiloscritto originale di Bergman, spicca così la figura di Marianne, la dolce nuora del professore, in crisi con il marito, compagna di cammino in questo viaggio a ritroso nella vita. Quando Borg arriva al cuore di questo viaggio e risente il profumo di fragole che aveva impregnato la sua infanzia, Marianne si china su di lui, per asciugare qualche lacrima. “Marianne mi si avvicinò. Aveva un buon profumo e si muoveva con un fruscio così piacevolmente femminile. Si chinò su di me? Mi baciò delicatamente sulla guancia e poi scomparve”. Riletto oggi il road movie spirituale di Bergman tocca corde che non ci aspettavamo: la dolcezza, la forza, la vita. Di questi tempi conviene farne due volte tesoro.

Antonino Piazza


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