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psichiatria L'autolesionismo colpisce il 20% dei giovani under 25

di Redazione

I nfierire sul proprio corpo con mozziconi di sigaretta, bruciarsi con un accendino, ferirsi volontariamente con una lametta: gesti non tanto rari, soprattutto fra gli adolescenti italiani. Del problema si è parlato a Vicenza al recente convegno Autolesionismo, disturbi alimentari e disturbi della personalità , organizzato con il patrocinio della Sisdca – Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare.
«Gli atti di autolesionismo non costituiscono una patologia a sé, ma sono il segnale inequivocabile di un disagio profondo, spesso legato a disturbi del comportamento alimentare o a turbe della personalità», spiega il presidente della Sisdca, Roberto Ostuzzi . «Si tratta di gesti che procurano dolore al corpo, ma che hanno natura diversa, per esempio, dagli atti finalizzati al suicidio». Non tutti i comportamenti, dunque, sono classificabili come autolesionistici e non sempre è facile operare delle distinzioni, tanto che «non è immediato stabilire i confini tra una pratica del piercing estremo e gli atti autolesionistici», dice Flavio Bonfà , medico psichiatra e neuropsichiatra infantile a Piacenza. «Entrano in gioco implicazioni anche di tipo culturale», chiarisce Bonfà. «Nella società post moderna non esistono rituali di iniziazione come nel passato, ed ecco che si ripresentano comportamenti che anche in forme estreme e distorte segnalano il bisogno insito nell’uomo di affidarsi a una ritualità. Esistono però zone d’ombra che rendono arduo il giudizio su ciò che può essere considerato autolesionismo e ciò che invece rispecchia forme espressive legate a una certa cultura».
Il fenomeno dell’autolesionismo, che rivela un vissuto di sofferenza e di angoscia, non è facilmente inquadrabile sul piano statistico, «anche perché in tanti casi chi vive il problema lo tiene nascosto agli stessi familiari», prosegue Bonfà. Tuttavia, una recente indagine dell’università degli Studi di Milano ha fatto un po’ più di luce sul problema in Italia: «Il 20% degli universitari e il 22% degli studenti di scuola superiore interpellati», ricorda Ostuzzi, «hanno compiuto almeno un gesto di autolesionismo, dati in linea con quelli di altri Paesi». La fascia d’età più colpita dall’autolesionismo è quella compresa tra i 13 e i 25 anni; maggiormente coinvolte le ragazze, in particolare quelle con disturbi del comportamento alimentare. «Gli atti autolesionistici», continua Ostuzzi, «interessano circa il 70% dei soggetti con comportamenti bulimici, mentre la percentuale è molto più bassa per quanto riguarda le persone affette da anoressia, attorno al 27%. È importante rilevare, inoltre, l’ampia diffusione dell’autolesionismo tra chi è affetto da disturbi della personalità, ben l’80%».
Ma i genitori che si accorgono di comportamenti autolesionistici di un figlio, come devono comportarsi? «Trattare queste forme di disagio non è semplice, soprattutto per i familiari», risponde Ostuzzi. «Sicuramente è importante parlare con i figli, stare attenti ai segnali che lanciano con i loro atteggiamenti. Tanti genitori si spaventano, invece occorre non sottovalutare il problema, ma neppure ingigantirlo. Consiglio di rivolgersi alle strutture del territorio, come i consultori familiari, che offrono servizi per l’adolescenza e un sostegno psicologico e psichiatrico adeguato».

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