Formazione

Quelle dell’età di Ruby. La parola agli educatori

Anteprima dall'inchiesta di Vita in edicola

di Daniele Biella

Per ultime arrivarono le intercettazioni del Rubygate. Il fratello: «Amo’, quello ci risolve tanti problemi a tutti, a mamma, a te e a me». Il padre: «Ti sei vista passare davanti questa e quest’altra, ma svegliati!». La madre, orgogliosa, all’altra figlia: «Francesca ha ricevuto un braccialetto d’oro con un diamantino e la lettera “F” incisa». Tre famiglie diverse, stessi obiettivi: soldi, carriera, affermazione sociale, per cui sacrificare il corpo della figlia, della sorella. Sconvolgente? E allora che dire delle ragazzine che si vendono in discoteca al vip di Facebook (quello con tanti “amici”) solo per essere aggiunte alla lista dei contatti il giorno dopo e vantarsene con gli altri? Oppure chi si mette in posa senza veli nelle scuole per una ricarica del cellulare? Ancora, fa scandalo la recente scoperta che un terzo delle lap dancer di Londra sono universitarie che si affusolano attorno a un palo per pagarsi gli studi?


«Scandalizzarsi è da ipocriti. Che il corpo sia mercificabile per ottenere un risultato è un pensiero diffuso da tempo», sentenzia Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia all’università Statale di Milano.

«Stiamo parlando di un modello estremamente maturo, che trova conferma nelle intercettazioni e negli episodi di attualità. Come educatori si soffre, ma che si voglia o no, questa è la realtà con cui fare i conti». Che sia roba da retrò, l’amore ai tempi del Rubygate? E come si attrezzano le agenzie educative per arginare la deriva in atto e affrontare l’educazione sessuale con le giovanissime?

In classe
Una prima risposta si può intuire partecipando al Consiglio d’istituto di uno dei licei più rinomati di Milano, il Parini, che ha una presenza femminile da record (su 1.200 studenti solo 150 sono maschi) e che è balzato alle cronache nel 2006 quando un’alunna ha partorito nel bagno della scuola. Uno dei temi in discussione è proprio la linea da prendere quando in classe viene sollevato il tema “bunga bunga”.

«Le ragazze sono molto più scafate, navigate di una volta, sanno che il mondo va così e spesso ci ridono sopra», racconta Marilena Gnocchi, docente di Spagnolo. «Vedono attorno a sé tanta immoralità, sanno che in una sera si può guadagnare più che in vari mesi di lavoro, ma non si scandalizzano, piuttosto ne discutono e ne prendono le distanze», incalza Nicoletta Romita, che insegna Scienze sociali. Ma quanto e come se ne parla a scuola? «È un fatto pubblico, l’argomento esce spesso e ogni professore lo affronta con le proprie armi educative. Puero debetur maxima reverentia, al minore si deve il massimo rispetto», interviene il preside del liceo, Giovanni Gaglio, con una citazione di Giovenale cara anche a papa Giovanni Paolo II.

«Abbiamo l’obbligo morale e legale di mostrare cura verso i ragazzi, per questo l’educazione affettiva, ancor prima di quella sessuale, deve essere una priorità». In tal senso, in seconda, quarta e quinta gli studenti incontrano in cicli di sei ore psicologi ed esperti di Asl, consultori e associazioni come il Camen – Centro ambrosiano metodi naturali per «insegnare loro a scegliere in modo consapevole, non solo a usare i contraccettivi».

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