Famiglia

Quelle che il calcio: la Nazionale in rosa

Riconquistata la parità sugli spalti, ora cercano quella sul campo. In Italia sono poco più di ottomila le ragazze che rincorrono la palla, emulando le gesta dei loro colleghi maschi.

di Pasquale Coccia

Altro che vedove dei Mondiali o pericolose rompiscatole da evitare a tutti i costi. Riconquistati la parità allo stadio e il diritto al tifo (vedi articolo a fianco), le donne italiane ora lanciano la sfida su un terreno fino a ieri di esclusivo dominio maschile: il campo di calcio. Missione impossibile? Il dubbio c?è ed è più che fondato: le nostre magliette rosa sono ancora uno sparuto esercito, agguerrito sì, ma troppo esiguo e mal equipaggiato per pensare di competere ad armi pari con i signori del pallone. E quelle che il calcio già lo fanno sul campo, lo sanno bene. E lo sa bene Sergio Vatta, già allenatore delle nazionali giovani under 18, che oggi è commissario tecnico della Nazionale femminile.
«Le ragazze sono molto interessate al gioco del calcio», attacca Vatta, «ma spesso non trovano allenatori disposti ad allenarle, oppure campi di gioco pronti a ospitarle. Mancano le strutture che possano accoglierle sul piano sportivo educativo e istruttori che diano garanzie di serietà a genitori. Così le donne sono costrette a vincere innanzitutto le resistenze in famiglia e poi quelle dell?ambiente sportivo, che non le giudica idonee a questo sport. Il calcio proposto e vissuto secondo i modelli tradizionali, non accetta le donne sui campi di gioco; a loro assegna un ruolo che appare in netto contrasto con l?idea del gioco duro. Tanti genitori invogliano i figli a frequentare le scuole di calcio, non altrettanto succede con le ragazze. Il risultato di questo pregiudizio? La pratica del calcio femminile in Italia in percentuale ci colloca tra gli ultimi in Europa».
Vatta ha ragione: il confronto con gli altri Paesi è infatti davvero impari, se consideriamo che in Italia si contano solo ottomila tesserate al settore femminile della Fgci (Federazione gioco calcio) contro le 500 mila della Norvegia, Paese che in questo sport detiene il titolo di campione del mondo, pur avendo una popolazione di poco superiore ai 4 milioni. Un dato sorprendente, risultato di una politica dello sport per tutti che vuole il calcio praticato nella scuola, tanto che durante le partite di serie A femmnile si registra la presenza di 60-70 mila spettatori. E proprio dalla scuola si dovrebbe partire anche in Italia: «Potremmo convolgere almeno 100 mila ragazze e questo ci consentirebbe di raggiungere la media degli altri Paesi europei», continua l?allenatore della nazionale femminile. Un sogno irrealizzabile? Forse, ma Vatta ci crede, ed è pronto a sfidare chi pensa il contrario. «Molti mi consderano sprecato in questo ruolo», confessa, «e vorrebbero che tornassi a occuparmi di calcio maschile e di giovani talenti da lanciare. Ritengo, invece, che la mia esperienza possa essere molto utile alla crescita del settore famminile, che non deve imitare quello maschile fino a esserne succube. È una battaglia che sì può vincere, in nome della parità e della piena dignità delle donne». Il ct Vatta ci spera, ma non si nasconde che sarà dura. Anche perché i risultati della nostra Nazionale rosa sono stati piuttosto magri, se si escude il secondo posto conquistato nelle edizioni del Campionato europeo del 1993 e 1997. Un dato che evidenzia quanto ancora lungo sia il cammino da percorrere sul fronte agonistico e su quello amatoriale perché questo sport possa decollare davvero e competere a livello internazionale. Coraggio, allenatore. ?

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