Non profit
Quelle Case del Popolo trasformate in bische
Lodi è l'esempio di un caso italiano: circoli ricreativi, spesso riconducibili al Partito Democratico, sono oggi dipendenti dagli incassi delle slot
di Marco Dotti
Quarantatremila abitanti, capoluogo di provincia, una lunga storia e una tradizione da far invidia a molte città italiane. Siamo a Lodi, in piena Lombardia.
A Lodi, l’anno scorso, ogni cittadino, neonati inclusi, ha giocato in media 1400 euro. Nel lodigiano il giro d’affari legato a questa industria è stato di ben 153 milioni di euro, se ci limitiamo ai dati dei primi sei mesi del 2013. Cifre da capogiro, che colpiscono. Ma colpisce anche il paradosso dei locali in cui alcune di queste infernali macchinette sono collocate. Perché accanto a un movimento nato da poco, ma già attivissimo (No Slot Lodigiano), accanto ai primi bar “senza slot” e dopo una mozione approvata in Consiglio comunale qualche paradosso emerge ed è legato proprio ai locali e, per una volta, non tanto a chi li “gestisce”, ma ai suoi legittimi proprietari.
Un esempio su tutti, che invita alla riflessione cittadini e amministratori della città, è quello del locale circolo ricreativo Arci. Ma il problema è nazionale e attiene sia il patrimonio immobiliare dei comuni, sia quello dell’ex Partito Democratico di Sinistra, che nella vicenda della dismissione del suo patrimonio storico qualcosa ha ancora da spiegare agli italiani. A Ravenna, ad esempio, è di qualche settimana fa la presa di posizione di Andrea Baravelli, storico dell’Università di Ferrara, che da anni si occupa di ricostruire le vicende legate alle “Case del Popolo”. Baravelli ha spiegato come, anche a fronte dichiarazioni di facciata, le ex “Case del Popolo” siano state spesso trasformate in sale gioco o si siano convertite in società del gambling (tema su cui torneremo presto) spesso gestite con una pericolosa contiguità e continuità da amministratori con un passato che si credeva più nobile.
Lodi in tutto questo che cosa c’entra? C’entra, perché sembra mostrare – in piccolo – un chiaro esempio del paradosso – chiamiamolo così – che ha trasformato i circoli ricreativi e le Case del Popolo in bische legalizzate.
Ecco la questione lodigiana: a) il PD è proprietario dell’ immobile in cui è situato il Circolo Arci; b) il Circolo Arci, per sostenere il costo dell’affitto, è di fatto costretto a installare slot machine; c) il PD vota in consiglio comunale una mozione “No Slot” al fine di impegnare il Comune ad aiutare i locali che vogliono togliere le slot.
Qualcosa non torna nel ragionamento, che chiede una presa di posizione chiara per evitare inutili supposizioni. Siamo dinanzi all’ennesimo caso di esternalizzazione dei costi e di massimizzazione delle “lotte” altrui (che, quando così stanno le cose, mai impattano nel reale)? Oppure è un vizio di forma a cui si può facilmente porre rimedio, sacrificandoci tutti un po’, magari dialogando e riducendo l’affitto ai gestori del circolo?
Perché una cosa è certa: i gestori di bar e locali non vanno lasciati soli, qui siamo tutti vittime – le comunità in primis – di un business che chiede un’opposizione chiara, netta, leale e precisa. Troppo facile invocare la sindrome del “non nel mio giardino” solo quando in gioco ci sono interessi altrui. Cominciamo da noi, basta poco in fondo.
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