Non profit

Quell’apatia sociale della sinistra

L'editoriale di Giuseppe Frangi sulla politica sociale della sinistra italiana.

di Giuseppe Frangi

Ebbene, sì, ci manca Schroeder. Al momento di scrivere non sappiamo se la mossa che ha rimesso in corsa il cancelliere, dato per spacciato dai sondaggi sino a qualche settimana fa, si è rivelata completamente vincente al punto da dargli un?incredibile riconferma. Ma certo il caso Schroeder resta positivamente emblematico. Qual è stata la mossa a sorpresa? Quella di aver scelto, con un certo coraggio (pensate solo che Blair nelle stesse ore faceva da tappetino alla Casa Bianca?), di schierarsi contro l?eventuale conflitto in Iraq. Più che valutazioni di carattere geo-strategico, la scelta di Schroeder è stata dettata dalla percezione di ciò che la maggioranza della società civile tedesca chiedeva con forza e convinzione.
Ve lo vedete qualche leader della sinistra italiana prendere una decisione così, incurante di chi possa avanzare il sospetto di uno scollamento dalla fedeltà occidentale? Ma il caso Schroeder dovrebbe invece far pensare.
Infatti in Italia è ormai dominante la convinzione che l?attenzione al sociale, ai bisogni concreti delle persone e ai sentimenti diffusi, sia una vocazione perdente. Si coglie quasi un disprezzo, con diverse motivazioni, per le domande frammentate, balbettanti o urlate, che salgono dal basso.
Abbiamo visto le mamme di Domodossola scendere in piazza per difendere un diritto alla salute, ma quel grido non è stato raccolto da nessuno. Abbiamo sentito i genitori di migliaia di ragazzi disabili osservare allarmati e allibiti il taglio alle ore di sostegno, ma anche loro sono rimasti soli. Abbiamo davanti un mondo del lavoro dove i senza regole né diritti, figli della decantata stagione della flessibilità, annaspano domandando un minimo di stabilità e di certezze: ma nessuna parte politica raccoglie quelle loro pur minimali domande.
Abbiamo sentito voci, del tutto ragionevoli levarsi dal carcere, per chiedere condizioni meno disumane, ma le sole risposte arrivate sono quelle insultanti di un ministro della Giustizia o quelle piuttosto tiepide di una piazza, per altro caldissima proprio sui temi della giustizia.
E chi sa dare una risposta a tutti quei ragazzi del Sud che chiedono di poter continuare a lavorare in nero perché l?alternativa è diventare manovalanza della mafia?
E che dire poi della domanda ancor più frammentata e fragile che sale dalle centinaia di migliaia di immigrati, il cui presente è una paurosa oscillazione tra speranze e terrori? Oltretutto la loro voce è ancora più debole perché non è neppure quantificabile in voti?
Nel nostro piccolo abbiamo sperimentato con amarezza e stupore come una battaglia per difendere una civilissima legge, la 185, abbia raccolto tonnellate d?indifferenza, con pochissime eccezioni, nel ceto politico.
A tutte queste domande, certamente, si può rispondere con lampi di generosità o di pietismo: e qualcuno di tanto in tanto, ci si lancia. Ma non è qui la questione. Perché sullo sfondo resta la certezza che l?attenzione al sociale non può costruire consenso. Una certezza, che chissà perché, nessuno mette in discussione, come ha notato un attento osservatore come Mario Pirani (che ha parlato di una perdurante ?apatia sociale? della sinistra).
Invece, pur nella sua episodicità, il caso Schroeder dimostra che vince chi scommette sul sociale. Chi, ancor più di Schroeder, ascoltando le mille frammentarie voci che salgono dalla realtà sa interpretarle, proporre dei progetti. Il consenso non estemporaneo, non emozionale, non da eterni indignati (ed eterni perdenti) nasce solo così. E se il consenso non arriva non si può continuare a pensare che qualcuno sta ingannando diabolicamente l?Italia.

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