Volontariato

Quella speranza continua

L'editoriale di Riccardo Bonacina e Giuseppe Frangi ad un anno dal G8.

di Riccardo Bonacina

Un anno fa, alla vigilia del G8 di Genova, avevamo immaginato, sognato e chiesto una svolta radicale nei metodi della politica mondiale. Avevamo auspicato una nuova gerarchia nelle priorità del governo del pianeta, che mettesse in cima la preoccupazione per la disperazione di una grande parte dell?umanità che oggi non gode di alcun bene, e non più le sole ragioni del profitto di pochi.
Avevamo chiesto una politica ispirata alla responsabilità dei Paesi più ricchi nel perseguire obiettivi realistici e minimi di equità sociale per tutti.
Poi il G8 si trasformò in una questione di ordine pubblico e giudiziario, il rumore della repressione e della violenza prese il sopravvento sulle parole e sulle promesse degli otto leader più potenti della terra, e persino su questa grande domanda di cambiamento.
Un cambiamento atteso insieme a tanti, in Italia e in ogni parte del mondo, che tarda ad arrivare. Anzi, a un anno da quel tragico 20 luglio 2001, assistiamo a un ritorno di schemi e processi politici che nulla hanno di nuovo. La guerra al terrorismo, che l?11 settembre ha colpito New York con una violenza inedita e inaudita, deve essere combattuta e perseguita con misure d?intelligence e di prevenzione, senza degenerare in giustificazione per innalzare nuovi muri e barriere contro i popoli più disperati. La conclamata guerra alla povertà rischia di trasformarsi in una guerra ai poveri e le nostre ricchezze ritornano a essere un mero privilegio da difendere e non un capitale da reinvestire per una globalizzazione capace di responsabilità e di solidarietà.
Un anno fa le nostre domande e attese erano diventate coscienza diffusa, sentimento condiviso. Furono un fatto culturale capace di incidere nei comportamenti individuali e nella sensibilità verso i drammi di popoli lontani. Cosa resta oggi, un anno dopo? Un nostro lettore, sintetizzando il sentire di molti, dopo un anno duro, violento, ci ha inviato un manifesto da lui disegnato in cui campeggiano tanti ragazzi con le mani alzate e una scritta che recita, con amara ironia: «Mani in alto, vietato sperare».
Ecco, un anno dopo quel doloroso weekend di luglio, non ci vogliamo arrendere al cinismo che ci vorrebbe arroccati nella difesa di qualche privilegio e di qualche ricchezza. Non ci vogliamo arrendere a quel «vietato sperare», anzi.
Anzi, oggi, un anno dopo, sentiamo come ancor più ragionevole e urgente la necessità di cambiamento, perciò sul prossimo numero proporremo un appello firmato da tante personalità per ridire le ragioni di questa speranza e per riaffermare la volontà di concretizzarla. Un cambiamento e una speranza che oggi sono ancora più necessari e ancora più ragionevoli: ma un anno non è passato invano.
Mario Luzi, un grande della poesia e della cultura, qualche giorno fa ha definito così il dato di civiltà acquisito nel corso di quest?anno: «Il movimento no global è il sintomo di un nuovo senso critico diffuso, che percepisce la gravità di ciò che sta avvenendo a livello planetario. Si sta facendo strada una grammatica mentale che esclude a priori la guerra e che ha tutto il mio consenso. è un fatto positivo su cui si potrà contare».
Una nuova grammatica mentale: ecco il frutto di Genova. Il patrimonio di cui dobbiamo far tesoro. In cosa consiste questa grammatica mentale? Innanzitutto nella convinzione che il nostro futuro e quello del mondo dipendono non tanto dai megashow degli uomini più potenti del mondo ma dalle nostre pratiche quotidiane, dai nostri stili di vita, dalle nostre scelte al momento degli acquisti e del consumo, dalla nostra voglia di fare comunità. Il destino del mondo appartiene, almeno in ugual misura, sia al potere dei potenti che al potere ?dei senza potere?, per usare una vecchia espressione di Vaclav Havel. Si è chiarito, durante quest?anno, che vale di più ?essere per? che ?essere contro?; vale di più metter su una bottega equo solidale che spaccare una vetrina del fast food. La grammatica dei senza potere scrive fuori dai teatrini mediatici, fuori dai consigli d?amministrazione con ?gettone di presenza?, ma il suo racconto è reale, la sua storia quotidiana e corale.
Il secondo punto fermo di questa nuova grammatica mentale è il rifiuto del cinismo utilitarista che intossica i rapporti umani e le relazioni a ogni livello. Un grande educatore, un sacerdote, don Luigi Giussani, qualche anno fa aveva intuito profeticamente l?intollerabilità di questa condizione. E rispondendo a un giornalista del Corriere della Sera aveva detto: «Alle nuove generazioni di uomini non è stato proposto niente. Eccetto una cosa: l?apprensione utilitaristica dei padri. Un utilitarismo perseguito senza alcun punto di fuga ideale non può durare. Il mio timore è che si scatenino conflitti senza fine».
Da Genova a oggi è stata tentata un?alternativa pratica a questa dittatura dell?utilitarismo. Un tentativo umile, dettato dal bisogno di tanti, costruito senza parole d?ordine, anzi con quel disordine che la vita, quand?è vera, porta con sé. Ma quel tentativo umile e di tanti, è la garanzia migliore perché il mondo non resti prigioniero di conflitti senza fine.

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