Famiglia

Quella soglia delle 23 settimane

Possibilità di vita. I nuovi scenari.

di Sara De Carli

Legge 194, art. 7: «Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l?interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell?articolo 6 (quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, ndr) e il medico che esegue l?intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto».

Nella pratica, sono tutti d?accordo: è assurdo fare interruzioni terapeutiche di gravidanza oltre la 22esima settimana. Perché a partire da lì il feto ha possibilità di sopravvivere: il 10% a 22 settimane, il 15-20% a 23, il 50% a 24. Concordano, a sorpresa, tre neonatologi di tre grandi ospedali d?Italia: Sant?Anna di Torino, Macedonio Melloni di Milano e San Martino di Genova. In tutti questi ospedali, per regolamento interno, le Itg si fermano prima della settimana 22+6. Una scelta fatta ben prima che la Regione Lombardia fissasse il limite a 22+3 settimane e che rimarrà anche se la commissione del ministro Turco nei giorni scorsi ha detto che alla 22 settimana al neonato devono essere offerte solo cure compassionevoli, e alla 23 si garantisce assistenza solo se i genitori danno il consenso.Gli aborti fatti dopo i 90 giorni (Itg) sono in controtendenza: aumentano. Erano lo 0,6% agli inizi, sono saliti all?1,7% nel 1997 e sono arrivati al 2,7% nel 2005. Quelle dopo la 21esima settimana sono lo 0,7%. Il dato varia da una regione all?altra, a seconda della presenza di centri di diagnosi prenatale: in Sardegna – ci dice Silvio Viale, ginecologo radicale – arrivano al 5,2%, per via della talassemia. Perché c?è uno stretto nesso causale tra l?aumentare delle informazioni disponibili sulle malformazioni del feto e la scelta di abortire: «La diagnosi cromosomica viene fatta tra le settimane 10 e 14, il bi-test e il tri-test tra la 12 e la 20, l?amniocentesi alla 16», ci spiega Flaminia Torielli, neonatologa del San Martino di Genova e responsabile del Gruppo di studio sulla rianimazione neonatale della Società italiana di neonatologia. «Per questo il buon senso dice di sfruttare al massimo i progressi della tecnologia, e anticipare la diagnosi a prima che ci siano possibilità di sopravvivenza», le fa eco Claudio Fabris, del Sant?Anna di Torino, presidente della Sin. Ma quanti sono i feti che nascono vivi da una Itg? E che fanno i neonatologi se ciò accade? A Silvio Viale e a Flaminia Torielli (la metà del nostro piccolissimo campione) è capitato: entrambi hanno rianimato. «Le situazioni variano da caso a caso, si rianima ma poi si valuta anche quanto insistere», dice la Torielli. «Non dimentichiamo che il prezzo della sopravvivenza spesso è un gravissimo handicap cerebrale», le fa eco Viale. Che svela anche il trucco: sopprimere l?attività cardiaca del feto prima dell?aborto.«Dati però non ce ne sono», spiega Guido Moro, primario alla Macedonio Melloni. «È chiaro che come medici dobbiamo salvare la vita, indipendentemente dall?età gestazionale o dall?handicap che si profila, ed è altrettanto chiaro che l?intervento abortivo è traumatico per il feto: si tratta di pochissimi casi. Il punto è che quando succede, non lo si dichiara: conoscendo il desiderio della mamma, la maggior parte dei medici non fa nulla». Anche se la legge dice che si deve rianimare sempre.


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