Cultura

Quella prima tappa tra i disabili

Il Papa, come prima tappa del suo viaggio, ha visitato l'Our Lady of Peace Centre di Amman. Un centro per la cura dei disabili tenuto da cattolici, dove gran parte degli utenti sono musulmani. Un reportage da Vita Magazine

di Redazione

di Luca Fiore

Le cose più impensabili capitano nei posti più impensabili. Come a Zarqa, ad esempio. Zarqa è una piccola città giordana a pochi chilometri a Nord-Est di Amman. In questa povera località industriale esiste uno dei più antichi campi profughi palestinesi creato dalla Croce Rossa nel 1948. A tutt’oggi la comunità di origine palestinese è composta da circa 18mila anime, il cui membro più illustre aveva un nome che ancora oggi evoca terrore e lutti: Abu Musab al-Zarqawi. Naque qui il 20 ottobre 1966 ed è morto il 7 giugno 2006 dopo essere diventato il capo dei tagliagole in Iraq per conto di Osama bin Laden. A Zarqa abita ancora la sua famiglia, forse i suoi genitori, certamente i suoi fratelli. La sue tribù, insomma. Qui, in un contesto culturale intriso di fondamentalismo islamico, è cresciuto quell’odio che l’ha portato verso ad immergersi in quel tragico vortice che il terrorismo qaidista. E proprio a Zarqa è successo l’impensabile, l’inconcepibile agli occhi di chi guarda questo paese attraverso gli occhi scuri di al-Zarqawi. Il fatto è semplice: una ONG creata dalla comunità cattolica latina, il Our Lady of Peace Centre di Amman, ha incominciato ad occuparsi della cura dei disabili giordani vincendo la iniziale diffidenza della maggioranza islamica che, poco alla volta, ha iniziato a prendere coscienza della dignità, prima negata, delle persone disabili. La fotografia simbolo, di questo piccolo miracolo, è quella del vescovo cattolico Selim Sayegh, vicario Vicario patriarcale dei latini di Giordania, che spinge un bambino in carrozzina a fianco delle autorità musulmane durante una marcia di sensibilizzazione per i diritti delle persone disabili.


»In Giordania»spiega a Vita Majdi Dayyat, presidente del comitato organizzativo del Our Lady of Peace Centre, «il numero degli handicappati è enorme: si stima che siano 600 mila, circa il 10 per cento della popolazione. Lo scopo della nostra organizzazione è quella di far crescere la consapevolezza dei problemi dei disabili nel nostro Paese. Il primo obiettivo è quello di veder riconosciuti i diritti di queste persone, e per noi il primo loro diritto è il diritto alla dignità. L’altro nostro obiettivo è quello di offrire assistenza gratuita a queste persone». Non è ancora chiaro perché vi sia un così alto numero di disabili nel Paese, anche se per Dayyat le ragioni vanno cercate nell’eredità delle guerre del passato e nella diffusa endogamia nelle tribù locali. Una cosa è certa: per una famiglia giordana avere un figlio disabile è una vergogna insostenibile di fronte alla società. «Queste persone» continua Dayyat «vengono fatte vivere nell’ombra e sono isolate dalla società perché la società non le accetta. Dunque i disabili non vengono fatti uscire di casa, non vengono mostrati per non subire l’umiliazione dello scherno da parte del resto della popolazione. Questo isolamento, di fatto, coincide con la privazione della libertà».


Il lavoro per entrare e scardinare questa mentalità, legata alla cultura locale non solo tra i musulmani, è lungo e faticoso, ma nonostante l’esiguità delle forze sta iniziando ad avere i primi frutti. La gente prende coraggio e decide di scendere in strada spingendo le carrozzine dei propri figli a volte anche deformi, per far sapere a tutti sapere di aver scoperto il valore unico e grande di quelle persone loro affidate.

«Abbiamo organizzato molte marce nei diversi governatorati giordani. Cinque a Madaba, cinque ad Aqaba, tre a Zarqa. I cortei partono dalla moschea locale e arrivavano alla chiesa della città. Siamo riusciti a coinvolgere le autorità locali, i dirigenti delle scuole, il responsabile nazionale delle politiche religiose, il ministro delle politiche sociali». La prima reazione delle famiglie è sempre di diffidenza: in un mondo in cui la religione ha ancora un grandissimo ruolo sociale, un gruppo di cristiani che offre aiuto a famiglie musulmani viene subito sospettato di proselitismo. Ma quando la gente comincia a conoscerli e vede cosa fanno e come ci muovono tende a fidarsi e inizia a collaborare.
Quelli del Our Lady of Peace Centre non hanno paura di giocarsi fino in fondo, arrivando a dire le ragioni profonde del loro interesse alla cura e al riconoscimento della dignità dei disabili. «Prendendo contatto con le famiglie», spiega Dayyat «cominciamo a dire loro che questi bambini, sono persone come noi, hanno la stessa dignità di qualsiasi altra persona. Noi siamo un’organizzazione cattolica e per noi questo discorso ha un fondamento religioso. Noi crediamo che queste persone sono create da Dio come noi, la loro dignità viene da Dio. Noi cristiani crediamo di avere il compito di portare a tutti l’amore di Dio e questo compito ci impone il dovere di venire in contro a queste persone disabili».

Sembra impossibile ma parlare apertamente di questi temi anziché allontanare gli interlocutori sembra avvicinarli: «Siamo convinti che questo background religioso possa costituire una base comune per collaborare con i nostri fratelli musulmani. Entrambi crediamo in un solo Dio, entrambi crediamo che la dignità della persona di fondi nel suo rapporto con Dio. Da questa collaborazione tra cristiani e musulmani nasce l’ambizione di portare un messaggio di tipo culturale che possa cambiare la mentalità di questo Paese». E il Paese cambia, davvero. La maggior parte della marce ha avuto un buon successo. Soprattutto a Zarqa, Aqaba e Madaba dove i partecipanti sono stati tra i mille e i quattromila. «Ma dove quando abbiamo iniziato a fare delle campagne più intense per promuovere questi avvenimenti siamo arrivati fino a 5-6mila persone ad ogni marcia». E non solo. Le famiglie non solo cominciano affidare i propri figli disabili alle cure dei cristiani, ma l’organizzazione comincia reclutare volontari e coordinatori musulmani ormai conquistati dal fascino di questa “battaglia”. «È molto importante per noi collaborare con i musulmani, perché il nostro obiettivo è raggiungere il numero più grande possibile di handicappati. Il 99,9% degli handicappati è musulmano, dunque per raggiungerli abbiamo bisogno dell’aiuto dei nostri fratelli musulmani».
E qualcosa di muove anche a livello politico? Certo. «Da un punto di vista legislativo», conclude soddisfatto Dayyat. «sul tema dell’handicap in Giordania si è passati da un’impostazione di tipo “caritatevole” a un approccio fondato “sui diritti” dei disabili. Questo per me è un passo davvero importante, tanto che la Giordania è stato il primo Paese del mondo arabo insieme alla Tunisia a firmare quest’anno la convenzione delle Nazioni Unite per i diritti dei disabili».

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