Non profit

Quella grande barriera chiamata paura

di Redazione

Quando partecipo a convegni sul tema della disabilità, quasi sempre qualcuno fa notare che sono molto peggiori le barriere psicologiche di quelle architettoniche. Ovviamente sono d’accordo. Ma oggi le barriere psicologiche riguardano tutti, non solo le persone con disabilità. Ogni nuova paura globale rappresenta una nuova pesante barriera.
Nel giro di pochi mesi abbiamo vissuto la paura dei fondi “infetti” americani, poi la paura degli immigrati clandestini (di qui le ronde, scomparse per incanto con l’approssimarsi della Pasqua), poi la paura della crisi economica e della disoccupazione di massa, poi la paura del terremoto, adesso la paura della peste suina (l’esperienza dell’aviaria sembra insegnare assai poco).
Ognuna di queste paure è diventata tema dominante dei mezzi di informazione, ha monopolizzato i telegiornali, i talk show, le prime pagine dei quotidiani, l’agenda politica. Sembra un meccanismo telecomandato, utile a mantenere un ordine globale, una scarsa consapevolezza delle differenze, delle questioni che contano nella vita di tutti i giorni.
E così le nuove barriere dividono le persone, le rendono diffidenti, insicure, sempre sulla difensiva, tendenzialmente conservatrici, ripiegate sul proprio io. Esattamente il contrario di un modello di solidarietà attiva, di cittadinanza condivisa, di comunicazione orizzontale e trasversale. Comunicare la “normalità” è impresa sempre più difficile, e scegliere percorsi impervi è possibile (Vita lo dimostra ogni settimana) ma richiede l’attenzione e la partecipazione di un pubblico maturo e consapevole. Intanto nelle case si aspetta che il telegiornale annunci la prossima catastrofe, per non pensare troppo, per lasciarsi vivere, per immaginare che c’è sempre qualcuno che sta peggio di noi. E possiamo mandargli un euro con un sms.

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