Volontariato

Quella foto racconta di loro. E di noi

L'editoriale di Giuseppe Frangi dopo la tragedia dei clandestini somali a Lampedusa.

di Giuseppe Frangi

Martedì scorso tutti i più importanti quotidiani hanno aperto in prima pagina con l?identica foto. In realtà era una foto di altre fotografie: quelle che i disperati clandestini somali, protagonisti dell?allucinante attraversata dal porto di Al Zuwara a Lampedusa portavano con sé. Bisogna guardarle bene, quelle foto, perché raccontano storie molto diverse da quella che si sono installate nel nostro immaginario. Raccontano storie di persone normali, ben vestite, che hanno voglia di sorridere, che portano occhiali da sole alla moda, o posano con una vezzosa borsetta rossa. Spesso sorridono davanti all?obiettivo, con i loro bambini, che hanno sguardi e atteggiamenti tanto simili ai bambini di casa nostra. Persone normali, persone molto più simili a noi di quanto sospettavamo o di quanto abbiamo potuto credere vedendoli sbarcare, chi è riuscito a sbarcare, in terra italiana. Tutto questo moltiplica la portata di disperazione della loro vicenda, perché se ne sono venuti via da una terra in cui avevano pur sperimentato la possibilità di vivere con dignità. Se ne sono venuti via, affrontando consapevolmente l?inferno della traversata del deserto e poi di quel piccolo tratto di mare, 53 miglia in tutto, che ha setacciato in modo crudele le loro vite. Davanti a tragedie così, ha fatto bene il ministro Beppe Pisanu a usare toni tanto drammatici e allarmati. Ha detto che certamente i numeri delle vittime erano molto maggiori rispetto alle prime possibili valutazioni. E che quella tragedia metteva in gioco la coscienza civile. Ora restano in sospeso alcune domande, decisive quanto le sottolineature fatte dal ministro. La prima domanda è questa. Davvero si pensa che operazioni di controllo del mare, pur condotte da equipaggi consapevoli e preparati a capire anche il lato umano di questo dramma, possano servire come disincentivo al fenomeno dei clandestini? E poi: gli accordi di riammissione che l?Italia ha firmato con quattro Paesi africani (Algeria, Marocco, Tunisia e Nigeria) davvero sono una risposta adeguata a quanto sta accadendo? Domande evidentemente retoriche, perché nessun trattato di riammissione potrà far tornare indietro persone, come quelle che sorridevano in quelle foto, che per disperazione attraversano il deserto, arrivano sulle sponde del Mediterraneo, si trovano davanti il muro del mare che sono disposte ad affrontare anche a cavalcioni di un tronco, perché comunque l?unica alternativa che hanno è la morte. La vera questione da affrontare è quella di far sì che la vita di questi uomini sia degna di essere vissuta a casa loro, oltre quelle porte davanti alle quali si sono messi in posa. Per questo l?unica domanda vera cui si dovrebbe rispondere è questa: che rapporto c?è tra questa tragedia e il totale, irresponsabile disimpegno che l?Italia ha nei confronti della cultura della cooperazione? Quante vite costa quell?incivile gioco a erodere ogni anno quello zero virgola per cento che l?Italia destina ai progetti di cooperazione? Ministro Pisanu, con stima, giriamo a lei queste domande.


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