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Quella debolezza manageriale

Solo il 3% delle risorse vengono dal non profit. Che invece facendo fund raising potrebbe giocare un ruolo da protagonista.

di Redazione

di Alex Turrini e Roberta Montanelli (lavoce.info)

Servono circa 18mila euro l?anno per assistere una persona non autosufficiente, pur escludendo molte spese sanitarie, come le visite specialistiche e i ricoveri ospedalieri. A carico delle famiglie oltre un terzo della cifra, quasi 7mila euro, il resto è per lo più finanziato dall?Inps. Si tratta quindi di trasferimenti monetari e non di servizi di supporto. Nonostante l?introduzione dei Piani di zona, la possibilità di programmazione a livello locale resta scarsa. Potrebbe aumentare se si chiedessero all?istituto previdenziale più informazioni sugli utenti che ricevono le prestazioni assistenziali. Debole la capacità del non profit di attrarre finanziamenti da privati. Chi paga L?intervento pubblico e privato, in parte coordinato attraverso l?elaborazione dei Piani di zona comunali, introdotti di recente, è in realtà finanziato perlopiù dall?Inps, che eroga circa il 40% delle risorse necessarie, ma che spesso non partecipa alla pianificazione, nemmeno a fini informativi. La programmazione zonale riguarda, così, solo il 20-30% delle risorse effettivamente devolute all?assistenza. Il non profit è al 3%, mentre sulle spalle delle famiglie c?è il 38% della spesa. Sono questi i principali risultati di uno studio svolto dal Cergas – Centro di ricerca sulla gestione dell?assistenza sociale e sanitaria dell?università Bocconi in collaborazione con Spi-Cgil Lombardia. Comuni e programmazione I risultati della ricerca dovrebbero far riflettere anche sulla possibilità di governance degli interventi per la non autosufficienza a livello locale. La forza dei Comuni e delle Asl nel presidio della titolarità della funzione sociale e sociosanitaria locale è risibile nell?attuale sistema di welfare. Tale debolezza rimane anche dopo l?introduzione dei Piani di zona che pure, in molti casi, hanno agevolato l?armonizzazione delle scelte strategiche di questi due attori. Diversamente da quanto avviene oggi, sembra allora necessario coinvolgere maggiormente l?Inps nei processi di programmazione zonale, al fine di incentivare un?operazione di produzione di informazioni sui diversi utenti che ricevono le prestazioni assistenziali dell?Istituto. Infine, si nota una debolezza del settore non profit. Le informazioni raccolte lo descrivono come un produttore responsabile di servizi per i non autosufficienti, se dotato di finanziamenti pubblici. Ma è tuttavia incapace di attrarre finanziamenti da attori terzi. Anche valorizzando il lavoro volontario, la capacità del non profit di investire risorse proprie, ottenute ad esempio attraverso l?attività di fund raising da privati, è molto bassa: arriva a un massimo del 5% della spesa effettiva totale. Lo sviluppo di capacità manageriali di fund raising anche in questo settore non sembra più rinviabile. Questo articolo integrale su www.lavoce.info

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