Cultura

Quell’11settembre del 476

In quell’anno cadde l’impero romano. Uno storico ha scritto un romanzo per rievocare quella data epocale. Intervista a Massimo V. Manfredi. (di Laura Cotta Ramosino)

di Redazione

Un gruppo di soldati romani lealisti si lancia in una missione disperata per liberare l?ultimo, sfortunato imperatore di Roma: quel Romolo Augustolo deposto nell?anno 476 dal ?barbaro? Odoacre. Non è la sceneggiatura del prossimo film di Steven Spielberg, ma la trama dell?ultimo romanzo storico di un autore, italiano, di straordinario successo: Valerio Massimo Manfredi. Titolo a effetto, L?ultima legione, scrittura avvincente, grande abilità nella costruzione narrativa: ma Manfredi ha l?impalcatura mentale dello storico. del mondo antico (topografia antica è la sua specialità). Docente di storia economica alla Bocconi di Milano, Manfredi si è ben documentato sul periodo in cui si svolge la sua storia, anche se poi distingue nettamente il ruolo dello storico e quello del narratore: «Un romanzo deve dare delle emozioni, non è un testo accademico, e la gente non va al cinema per imparare la storia. Se si vuole studiare si compra un saggio. La storia procede per problemi». Ma L?ultima legione, che è arrivato in poche settimane alla terza ristampa, è destinato a suscitare l?interesse dei lettori per un altro motivo. è infatti un romanzo in cui i richiami alla storia presente si sprecano. L?evento rievocato da Manfredi segna convenzionalmente la fine dell?Impero d?Occidente e dell?Evo Antico. E l?ipotesi suggestiva del romanzo è quella di collegare quest?ultimo rappresentante di una cultura e di una civiltà morente con il ciclo britannico di re Artù. Tuttavia il tema di fondo è una riflessione sui rapporti tra un impero progredito e civilizzato, ricco di fascino e di storia, e i barbari che stavano ai suoi confini e ne segnarono la fine. Nel 476 un soggetto nuovo si era affacciato ufficialmente sul palcoscenico della storia. E quello che sembrava un impero intramontabile si sbriciolava in silenzio. Nel libro lei avanza diverse volte delle riflessioni sul contrasto tra la civiltà romana, così ricca, ma anche così corrotta, e il mondo barbaro e povero che preme alle sue frontiere. Viene da chiedersi in che periodo abbia scritto certe frasi… In effetti, le ho scritte all?incirca verso l?11 di settembre. Le affinità non mancano… In che modo le sue riflessioni sono state influenzate dagli avvenimenti degli ultimi mesi? Sono stato certamente influenzato. Non so se gli imperi siano necessari, ma certamente quando cade un impero segue un periodo di caos, la perdita di una quantità di informazioni e di conoscenze. Pensiamo alla dispersione, con il crollo dell?Unione Sovietica di un patrimonio inestimabile di conoscenze tecnico-scientifiche? Questo è sempre successo, con il crollo dell?impero assiro, dei due imperi egiziani, di quello di Alessandro Magno e di Roma. In particolare il crollo dell?impero romano è stato un trauma da cui l?Occidente non si è mai completamente risollevato e ha sempre tentato di risuscitare. In fondo, anche l?Unione Europea è un tentativo nuovo e originale, ma che alla fine sta riaggregando lo spazio geopolitico dell?impero romano. Se pensiamo che hanno chiesto l?ingresso la Turchia, il Marocco, Israele… I suoi libri hanno un successo straordinario, la gente va al cinema a vedere Il Gladiatore, anche se poi a scuola la storia romana si studia sempre meno. Come mai queste contraddizioni? In realtà l?interesse per il mondo antico non è mai morto, quando passano i vecchi peplum in televisione la gente li guarda sempre. È la scuola che è carente, quasi assente. Molti professori sono ignoranti e questo è molto grave, perché se queste cose non le studiamo noi che siamo eredi di queste civiltà, chi le dovrebbe studiare? Ieri ero a Parigi, in taxi, e il taxista, che veniva dal Togo, quando ha saputo che ero italiano, mi ha detto che lui, in Togo, aveva imparato che tutta la civiltà dell?Occidente viene dall?Italia, perché c?era stata la civiltà romana, con Giulio Cesare, Virgilio? Da noi ora abbiamo il leghismo, che rappresenta la cultura romana negativa e oppressiva ed esalta un celtismo inventato e improbabile. Ma questo viene da una serie di fattori: la strumentalizzazione della romanità che ha fatto il fascismo e poi il fatto che molti archeologi e storici antichi nel dopoguerra erano di sinistra e quindi, istintivamente, vedevano nella romanità un riflesso di quel tipo di strumentalizzazione, per cui poi si sono privilegiate le culture preromane. I barbari hanno segnato la fine dell?impero romano, ma, come lei suggerisce varie volte nel suo libro, molti di loro erano innamorati di quella civiltà? Non c?è dubbio. Molti di loro sono stati degli eroi. Pensiamo a Stilicone, un vandalo, che è stato uno dei più grandi difensori dell?impero; molti di loro hanno dato il sangue per difenderlo. In realtà i Romani tentarono un?opera di assimilazione. Roma aveva una cultura multietnica, è nata così, con i famosi Sabini, Etruschi e Latini. Poi ci sono stati imperatori spagnoli, africani, illirici, arabi. Quando sono arrivati i barbari, a lungo Roma ha tentato un approccio ?elastico?, cioè di lasciarne filtrare una certa parte, romanizzarli e poi inserirli nell?esercito per contrastare gli altri; si usava a volte la forza, a volte la trattativa. È stata fatta un?azione straordinaria da questo punto di vista, che avrebbe anche potuto riuscire, se a un certo punto non ci fosse stata l?alluvione. Alla fine la pressione delle spese militari, per un?economia che non conosceva l?indebitamento pubblico, ha ucciso l?economia, il patriottismo e poi la demografia. Se qualcuno avesse insegnato all?impero a emettere titoli di Stato con interesse, chi lo sa? Lei pensa che si possano vedere delle analogie tra quel momento storico e quello attuale? Io non sono un determinista, non credo che si ripetano le stesse cose a distanza di secoli, anche se si ripresenta qualcosa di analogo e questo va tenuto presente. Oggi l?Occidente deve riflettere. I nuovi ?barbari? sono gli immigrati; si dice che la gente abbia paura, teme che vogliano portarci via i posti di lavoro e l?identità. Si pensa che un giorno non ci saranno più campanili ma minareti?Sono timori non assurdi; non è giusto sottovalutare la situazione che si sta creando e pensare che non porti conseguenze. è una situazione che va governata con saggezza. Bisogna che coltiviamo la nostra identità e la nostra cultura, che è preziosa. È uno spreco enorme, la distruzione di una civiltà. L?Occidente, quindi, deve avere la fantasia di trovare soluzioni nuove per salvare la sua civiltà e nello stesso tempo far cessare questo scandalo di due terzi del mondo che vivono in una spaventosa miseria. Gli immigrati che vengono da noi sono attirati da una qualità di vita che non ha precedenti; non c?è mai stato nel mondo un tipo di società opulenta come l?Occidente moderno e questo è in gran parte un fenomeno positivo, ma porta in sé dei germi di dissoluzione, come appunto dice, nel mio romanzo, Ambrosinus: ogni barbarie ha in sé i germi della civiltà che finiscono per svilupparsi, ma ogni civiltà ha in sé anche i germi della propria dissoluzione e della corruzione che finiscono per distruggerla.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA