Formazione
Quel “sapere insegnato” che non serve
Il mondo del lavoro oggi non premia un “sapere vuoto”, senza contenuti. Nessuno può pensare di essere creativo in settori che non conosce pena cadere vittima di modelli interpretativi della realtà privi di ogni fondamento scientifico, di fake news alimentate ed amplificate dalla rete. Nella scuola che conosciamo i nostri studenti sono quotidianamente chiamati a “riprodurre”, restituire all’insegnante i contenuti del sapere. Occorre cambiare registro
I dati degli studenti bocciati nei primi due anni delle scuole secondarie superiori sono quest’anno in aumento. Si tratta di sedicenni che non hanno più l’obbligo scolastico ma che nello stesso tempo non hanno, segnati dall’insuccesso scolastico, motivazioni sufficienti per proseguire gli studi e nessuna competenza utile per entrare nel mondo del lavoro. Per loro potrebbero aprirsi opportunità di lavoro attraverso corsi professionalizzanti, basati principalmente su attività di laboratorio in grado quindi di coinvolgerli sul piano operativo e di offrire quelle competenze utili per accedere ad un lavoro.
Vorrei raccontare l’esperienza del Centro di Formazione professionale don Facibeni che opera a Firenze da più di cinquant’anni. Nasce all’interno dell’Opera Madonnina del Grappa appunto per dare una qualifica a ragazzi “dispersi” che spesso hanno alle spalle situazioni familiari e sociali molto difficili. I risultati ci sono e sono importanti: a tre mesi dalla conclusione dei corsi l’80% dei ragazzi trova lavoro. Si tratta di corsi per termo-idraulico, elettricista, meccanico auto, operaio agricolo durante i quali i ragazzi passano molto tempo nei laboratori e poi in stage nelle aziende. Questa facilità di ingresso nel mondo del lavoro, la ricerca delle aziende di queste competenze e l’attenzione che la scuola riserva agli studenti rappresentano tutti elementi che fanno in modo che ci siano ogni anno molte domande di iscrizione che non riescono ad essere accolte.
La regione Toscana, in questo caso, ha deciso di non finanziare più corsi per drop-out negando a questi studenti in pratica ogni possibilità di uscita dalla condizione di disagio sociale nella quale si trovano. Bocciati dalla scuola, non più obbligati a frequentarla, senza alcuna competenza utile restano in questa “terra di mezzo” senza prospettive. Per loro quindi non c’è nulla, sono destinati a quei lavoretti precari, spesso pagati “al nero”, arrangiati, senza futuro. In un recente studio della Banca d’Italia sempre parlando della Toscana la percentuale di chi lascia la scuola è passata dal 10,4 all’11,7%.
Il mondo del lavoro oggi non premia un “sapere vuoto”, senza contenuti. Nessuno può pensare di essere creativo in settori che non conosce pena cadere vittima di modelli interpretativi della realtà privi di ogni fondamento scientifico, di fake news alimentate ed amplificate dalla rete. Nella scuola che conosciamo i nostri studenti sono quotidianamente chiamati a “riprodurre”, restituire all’insegnante i contenuti del sapere, sono valutati su un “sapere insegnato”. I processi di sviluppo delle competenze non possono fermarsi a un processo nel quale lo studente è chiamato a “restituire” quello che ha ascoltato e letto, appunto quello che possiamo definire “un sapere insegnato”.
L’evoluzione tecnologica che sta trasformando oggi, anche in modo radicale, tutte le attività, richiede che si sappia applicare, estrapolare il sapere per utilizzarlo poi in situazioni nuove, che non si sono affrontate prima sui banchi di scuole né si sono imparate ad affrontare svolgendo gli esercizi dei libri di testo.
La rivoluzione digitale, la società della conoscenza hanno accelerato la trasformazione di moltissimi settori automatizzando tutte quelle abilità che sono poi anche quelle più facili da insegnare e valutare e che stanno ancora alla base delle più diffuse pratiche educative. Le capacità cognitive di routine, quelle che si basano ad esempio sulla memorizzazione, sono anche quelle più facili da automatizzare. Tutti i lavori che si basano quindi su queste “competenze”, su questo “sapere” sono destinati prima o poi ad essere affidati alle macchine. Oggi quindi il successo scolastico non può tendere a questi obiettivi e la scuola deve cambiare non solo l’organizzazione curricolare ma anche il suo modello. L’innovazione richiede però una precisa consapevolezza di quanto è accaduto negli ultimi venti anni; senza questa non possiamo avere la capacità di guardare al futuro. Il dibattito tra sindacati e governo, gli interventi continui degli opinionisti sui quotidiani evidenziano invece questa incapacità a capire quanto è accaduto e sta accadendo ormai da anni: emergono sempre gli stessi argomenti come se il risultato della scuola dipendesse dal numero degli insegnanti o dalle dimensioni delle aule. Abbiamo troppi ragazzi “nella terra di mezzo” senza cioè competenze reali utili ad entrare nel mondo del lavoro magari anche con un diploma in mano: solo in Toscana si è passati dal 16,7% al 27,7%. Si tratta di una vera emergenza di cui non si parla.
Foto: unsplash
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