Volontariato

Quel portafogli caduto dal cielo

Franco Loi ricorda un amico lontano e la sua carità piena di pudore

di Franco Loi

Caro Giulio, so di pessimo gusto parlare di queste cose. Ma, circolando oggi una sorta di compiacimento per la violenza e il cinismo, non mi sembra antiestetico parlare un poco della carità. Voglio, cioè, ricordare a te, che stai per lasciarci o te ne sei già scappato chissà dove, alcuni fatterelli inesplicabili, considerando la tua natura e lo spregio per quello che consideri ?una debolezza mortificante? e ?una perniciosa concessione alla paura?.

Al bersò della Gina
Cominciamo da quel giorno di luglio in via Mario Bianco – a Milano luglio è afa. C?era un vecchio buttato a sacco sotto le colonne del 5. Un cappellaccio sul volto – per proteggersi dal sole? o per nascondere la faccia ai passanti? – una corda al posto della cintura, una camicia grigioverde sul petto rosso, scarpacce di cuoio e tra i buchi la durezza dei calcagni.
Nessun piattino di latta e le mani inerti lungo i fianchi. Dormiva. «Un barbone», hai detto camminando. «Un giorno sarò così anch?io». Il sole batteva sul cuoio e sul cemento, e noi si andava all?osteria di San Materno per una granita sotto il bersò della Gina. Ma, all?angolo di via Accademia hai fatto un gesto: «Aspetta qui, devo aver perso qualcosa…», e, al mio movimento: «No, vai pure avanti». Credi non ti abbia visto? Sei tornato alle colonne del 5 e ti vidi chinarti accanto al barbone. Il corpo del vecchio non si mosse, pur notando che l?avevi toccato come per raccogliere o posare qualcosa. «Mi puoi pagare da bere?» dicesti, nel mettere piede sotto il bersò. «Devo aver dimenticato il portamonete».

Hai bisogno di qualcosa?
Poi ci fu quel giorno ai campetti del Giuriati. Ci si andava la domenica, nel periodo che volevi fare l?allenatore e cercavi talenti all?Acquabella o allo Scarioni. La vidi io per primo. Se ne stava appoggiata al muro di via Ponzio, poco lontano dall?obitorio. L?età indefinibile, una vestina goffa e fiorami celesti, gli occhi erano spersi nel vuoto tra il muro e il vento dei sassifratti. Colpivano due particolari insignificanti: la poca gonna su quelle gambe magre; una insospettata eleganza nel molle aderire del corpo a quel muro grigio.
Mi sorprese la subitaneità del tuo passo nell?attraversare la strada, tra gelatai e rivenditori di limoni, per infilarti appunto in quel vento tra gli alberi. Quando ti raggiunsi, l?aria mi portò il suono della tua voce: «Hai bisogno di qualcosa?».

Sa, stiamo facendo un?inchiesta…
Lei teneva gli occhi sempre vaghi, come stesse aspettando un cenno dal marciapiede o dalla scorza levigata dei frassi. «Ci farebbe l?onore di bere qualcosa con noi?». Fu allora che gli occhi marroni e opachi si mossero e si posarono sui tuoi abbassati, come distratti da altro. «Non mi fraintenda. Stiamo facendo un?inchiesta tra la gente che frequenta l?Acquabella. Le spiacerebbe aiutarci?» E ti ammirai ancora, quando al caffè brontolasti: «Mi è venuta una fame! Gradirebbe un panino o un toast? Sa, quando si beve, vien sempre fame…». Si mise a piangere e ci raccontò la storia di donna sola e disperata.
Potresti ribattere che davvero eravamo lì per parlare con persone strane, sperdute ai margini dei campetti da fubol – l?avevamo fatto altre volte. Ma dovresti anche giustificare le cinquanta «a compenso dell?intervista» e la promessa di passare in via Giacosa, un giorno o l?altro. Lo so, forse non era carità. Ma immedesimazione e gusto dell?imprevedibile, ricerca di un diversivo alla monotonia della giornata. E dirai anche della curiosità insana dello scrittore. Ma cosa mi dici di quella sera al Giamaica?

Chi ha perso un portafogli?
Eravamo in sei: la solita Dal Bianco a sferruzzare fantomatiche maglie di lana, Dal Fabbrio vestito di nero, in cravattino e la mano ossuta sul bastone dal pomo d?avorio, Masani, appena sceso dalla specola, ancora gli occhi brillanti di stelle e lucidi delle sue carezze al violino e, più in là, l?amico pittore che aveva spinto sotto il tavolo la consueta carrozzella piena di libri e scartafacci e, come ogni giorno, intento a scrivere il suo infinito romanzo.
Quando entrò la moglie Wanda, il pittore la scrutò interrogativo. «Niente» scosse la testa lei; lui lasciò cadere la biro e si coprì gli occhi con le mani, come per pensare. «Siamo allo smozzico» biascicò la Dal Bianco: «Sfratto e fame latina…». Il pittore si era alzato e aveva spinto la carrozzina all?uscita. Sembrò un acquarello verista il vestitino rosso scarlatto di Wanda e il blu telaio della carrozza scolpiti nella vetrina per un attimo. Ci guardammo in faccia con espressioni diverse, come consultandoci perplessi o straniti.
Ma ecco, di nuovo, il corpicino scarlatto alla vetrata: «Chi ha perso un portafoglio? E? caduto a qualcuno nella carrozzina di Gianco…» Nessuno si fece avanti a prendere quella pelle nera che sventolava nell?aria. «Su ragazzi… Non sarò mica caduto dal cielo…?». «Beh», sentenziò Dal Fabbro, «se nessuno si fa vivo, è proprio caduto da lì o dai tetti…». «Se nessuno viene a reclamare dalle Pirovini», dicesti tu con calma, «il fagottello è assegnato…». «Ma… sono tanti…» disse, in un soffio che si sentiva appena, la voce di Wanda. «Meglio» stabilì la Dal Bianco.

L?ultimo deca? Nel laghetto
Conoscevo il tuo portafogli, ti guardavo allibito. Ma so già cosa avresti risposto: non si trattava di carità o di compassione, ma sprezzo per il danaro; avresti ricordato quel mattino ai Giardini Pubblici, quando buttasti l?ultimo tuo deca nel laghetto dei cigni: «Vediamo se i cigni lo mangiano… E se il denaro serve ai pesci…». Non so dove tu sia né se riceverai questa mia lettera. Ma so che diresti: «Quanta fantasia attorno a coincidenze… E poi, non c?è quello che pensi, ma amor proprio, commozione di sé, paura dell?indigenza e della solitudine… È come ai funerali: solo allora la gente pensa seriamente alla propria morte… Del resto, derivi dal kharis o da caritas, ci sono elementi di gioia, di risparmio, di gratuità, e persino la grazia – che tanto ti sta a cuore! – è fortuita, senza merito…».
Ma io sono semplice, debole, sognatore. Un atto è un atto. Non mi piacciono né la filosofia né la psicologia. A proposito di kharis, penso all?allegrezza di quelle persone e alla loro gratitudine. E per non dare scampo alle tue fughe morali, ti richiamerò ad un ultimo fatterello.

La rima tra amore e dolore
Eravamo a casa tua, io mi lasciai andare a una confessione dolorosa – un amore perduto. Tu subito dicesti: «La rima amore dolore è la più antica del mondo…». Piansi come un bambino, tra singhiozzi senza speranza. Quando, in un momento di calma, mi accorsi che anche tu piangevi, ti abbracciai.
Sì, lo so, passo ogni limite, dovrei vergognarmi. Ma ora che sei lontano e forse non ti rivedrò più, sento di dover sottolineare qualcosa della tua figura ai più. Non so se per alleggerire la tua memoria o per la vanità di esserti stato amico. Forse, è soltanto per ambizione estetica, per dare una forma decente alla bellezza della nostra comune vicenda.

I racconti dell?estate
settimana per settimana

Continua la nostra rassegna di racconti inediti, scritti appositamente per i nostri lettori da alcuni dei più affermati, ma insieme scomodi, scrittori italiani. Dopo i cicli dedicati alle città (1995), alla tv (1996) e all?essere padri e figli (1997), quest?anno a tema, la carità. Ecco tutti gli appuntamenti da non perdere dovunque voi siate.
Sul n. 30 in edicola da sabato 25 luglio:
Erri De Luca, ovvero quando la carità si fa ?prossima? e diventa un gesto di vero affetto.
Sui numeri seguenti:
Dalla penna e dal cuore di Raul Montanari, Guido Conti, Enzo Fontana, Dario Voltolini, Aurelio Picca, Susanna Tamaro, Luca Doninelli.

Franco Loi: da poeta arrabbiato a narratore

Franco Loi nasce a Genova nel 1930. Di famiglia sarda, si traferisce ancora bambino a Milano, città di cui adotta il dialetto e dove tuttora vive e lavora.
Dopo una giovinezza segnata da varie esperienze lavorative, si dedica alla scrittura e quindi, a partire dal 1965, alla poesia. Il suo linguaggio poetico nasce dalla fusione di elementi linguistici di varia natura, gerghi e dialetti di area proletaria reinventati dalle esigenze espressiva dell?autore. Per Loi la poesia «è la forma originaria della vita umana, dimenticarla sarebbe come uccidere l?uomo». Dopo anni di poesia ?arrabbiata?, Loi approda a un visione più serena della vita. Una positività che, dice il poeta, «È qualcosa che sento. È come se io stesso fossi investito da questa dose di speranza; non è un atto di volontà intellettuale, ma un sentire». Sono le esperienze personali e i ricordi della madre e dell?infanzia che Loi trasforma in versi, specialmente nel suo poema principale, iniziato nel 1981 e continuamente ?in fieri?: ?Angel?. Franco Loi ha pubblicato i seguenti libri di poesia: ?I cart? (1973), ?Teater? (1978), ?L?Angel? (cominciato nel 1981), ?l?Aria? (1981), ?Lünn? (1982), ?Bach? (1986), ?Liber? (1988), ?Memoria? (1991), ?Umber? (1992), ?Poesie? (1992). Solo nel 1997 Franco Loi ha ricominciato a scrivere racconti; quello che pubblichiamo è un inedito .

Un libro raccoglie gli scritti
di Testori, maestro di carità

È difficile parlare di scrittori e di carità senza evocare il nome di Giovanni Testori. Del grande scrittore milanese è uscita in questi giorni un?antologia di articoli pubblicati sul ?Corriere della sera? e su ?Il Sabato?, di interviste.
Il libro, che si intitola ?Maestà della vita e altri scritti? (Rizzoli, pagg. 500, lire 17.000), contiene anche la conversazione tra don Luigi Giussani e Testori sul Senso della nascita.
Alfredo, Luca, Marco, il necroforo Gatto Mario: sono loro e tanti altri, persone normalissime al centro di storie drammatiche, i protagonisti veri di questo libro, che è come una porta spalancata sulla realtà. Ogni caso serve a Testori per fare circolare domande che sul più grande quotidiano italiano non erano mai circolate dai tempi di Pasolini (e che dopo Testori nessuno ha più ripreso). Perché un ragazzo si uccide? Perché un sedicenne agiato si accanisce con le armi contro i suoi genitori? Perché l?indifferenza rende muti i grandi drammi che ci circondano? Perché nella grande Milano una vecchia viene sepolta senza che nessuno – nessuno si degni neppure di un segno della croce? Alzarsi al mattino e leggere sul ?Corriere? domande come queste riempiva di inquietudine ma faceva sì che, con quel nostro malessere, fossimo di nuovo parte di quella vita e di quel dolore che ci scorreva attorno e che nessuno riusciva a scorgere.
Un libro in genere può insegnare a capire cos?è la carità. Questo libro di Testori, come tutti quei suoi interventi, giorno dopo giorno, invece riesce nel miracolo di rendere chi lo legge più caritatevole.

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