Sanità

Quel poco che sappiamo della salute di homeless, detenuti e migranti

L’assistenza sanitaria alle persone che vivono in condizione di grave marginalità sociosanitaria, come ad esempio homeless, detenuti e migranti irregolari, è ancora poco studiata. È forse anche poco sfruttato il patrimonio di dati raccolto dagli operatori del terzo settore, che potrebbe rappresentare una base per avviare buone prassi. L’Istituto Superiore di Sanità fa il punto, valorizzando le esperienze di Intersos, Caritas e Opera San Francesco

di Sabina Pignataro

L’assistenza sanitaria alle persone che vivono in condizione di grave marginalità sociosanitaria, come ad esempio homeless, detenuti e migranti irregolari, è ancora poco studiata. Nonostante alcune buone pratiche siano state messe in campo soprattutto a livello locale, come ad esempio Intersos a Foggia, Caritas a Roma e Opera San Francesco a Milano, vi sono ancora lacune.
A questo tema l’Istituto Superiore di Sanità ha dedicato una ricerca dal titolo “La salute delle popolazioni in condizione di grave marginalità sociosanitaria”, evidenziando come «in Italia, come in altri Paesi considerati ad alto reddito, le persone in condizione di grave marginalità sociosanitaria, definite anche come “esclusi”, “invisibili” o “difficili da raggiungere”  soffrono delle forme più gravi di iniquità nella salute».

«Purtroppo questo ambito di ricerca epidemiologica appare ancora poco esplorato», sottolineano curatori della monografia, Roberto Da Cas e Cristina Morciano. «Mancano le infrastrutture per una raccolta sistematica dei dati o se realizzate sono da perfezionare, e sono poche le iniziative di formazione e informazione destinate agli operatori sanitari dei servizi territoriali. È forse anche poco sfruttato il patrimonio di dati raccolto dagli operatori del terzo settore, che potrebbe rappresentare una base per avviare politiche almeno a livello di comunità. Ulteriori studi su questi temi, con quesiti di ricerca rilevanti e ben condotti, potrebbero rappresentare il fondamento razionale per comunicare con i decisori politici e sarebbero anche funzionali a rappresentazioni sociosanitarie finalizzate a trasmettere ‘una scossa etica’ in Italia e nel resto dell’Europa».

Le esperienze di Intersos, Caritas e Opera San Francesco

Tra modelli di attività in favore di gruppi fragili o in condizione di marginalità socioeconomica analizzati da Iss c’è uno studio di Intersos che ha indagato lo stato di salute nell’area della Capitanata di Foggia, dove migranti per lo più irregolari, sfruttati nel comparto agro-alimentare, dimorano in un ghetto isolato, permanente e sovraffollato. Dalla ricerca si delinea un profilo di salute caratterizzato prevalentemente da patologie non trasmissibili come quelle a carico dell’apparato digerente e muscoloscheletrico, mentre non vi è evidenza di patologie infettive di importazione/tropicali; sono invece frequenti traumatismi dovuti a incidenti sul lavoro.
Intersos non documenta solo il profilo di salute delle persone che dimorano negli insediamenti informali nell’area della Capitanata, ma restituisce la consapevolezza di «un fenomeno diffuso in tutta Italia e ben documentato da una recente indagine nazionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulle condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agro-alimentare». Nel 2022, l’indagine ha mappato, in Italia, almeno 150 realtà simili a quella della Capitanata, luoghi in cui vengono negati dignità e diritti dei lavoratori migranti.

Due studi hanno poi analizzato lo stato di salute degli esclusi nelle grandi aree urbane che si rivolgono ad ambulatori del terzo settore per ricevere assistenza sanitaria. Il contributo di Caritas di Roma  ha rilevato una modifica del quadro epidemiologico degli assistiti nel corso di quarant’anni: un aumento delle malattie croniche, soprattutto cardiovascolari e metaboliche, e una riduzione delle malattie infettive. I dati del contributo di Caritas dimostrano, inoltre, che nel tempo è cresciuto il grado di complessità e di fragilità della popolazione da assistere: sono aumentate le persone con nessun titolo di studio e anche quelle di nazionalità italiana e i senza dimora, verosimilmente anche a causa delle ricorrenti crisi economiche. Complica l’attività assistenziale il notevole aumento nel tempo del numero dei Paesi di provenienza di coloro che sono costretti a lasciare il proprio Paese per situazioni di conflitto, emergenze umanitarie e ambientali.

Come spiegano i curatori, «l’esperienza della migrazione è un determinante fondamentale della salute e del benessere, poiché la salute dei migranti si presenta particolarmente vulnerabile per il sommarsi degli effetti delle condizioni di partenza, viaggio e permanenza nel Paese di transito o accoglienza.

L’esperienza della migrazione è un determinante fondamentale della salute e del benessere, poiché la salute dei migranti si presenta particolarmente vulnerabile per il sommarsi degli effetti delle condizioni di partenza, viaggio e permanenza nel Paese di transito o accoglienza.

Iss – “La salute delle popolazioni in condizione di grave marginalità sociosanitaria”

Le esperienze Intersos e Caritas evidenziano una situazione in cui le persone sono esposte a molteplici processi di esclusione: precarietà abitativa e giuridica, sfruttamento lavorativo, bassi livelli di educazione e isolamento che, come già verificato in alcuni studi, sono associati a esiti di salute peggiori rispetto al resto della popolazione, inclusi i migranti regolari».

L’Opera San Francesco a Milano ha invece approfondito la frequenza delle malattie croniche nei propri assistiti e ha stimato una maggiore prevalenza di malattie cardiovascolari, mentali e metaboliche (diabete) tra i migranti del Sud America e dell’Asia rispetto alle popolazioni europee.
L’attività del Poliambulatorio di Opera San Francesco si basa sul servizio volontario offerto gratuitamente da professionisti della salute (tra cui circa 200 medici e 30 odontoiatri) che coprono tutte le specialità cliniche. Si tratta di un vero e proprio presidio sanitario operante in regime di autorizzazione, che collabora con strutture sanitarie pubbliche e private presenti sul territorio. Nel 2022 ha erogato complessivamente 27mila prestazioni.

Iniziative (troppo) locali

Il limite di questi progetti nasce dal fatto che generalmente si tratta di interventi realizzati su scala locale e quindi di ridotte dimensioni e di breve durata, anche in relazione ai costi aggiuntivi che implicano per l’Servizio sanitario nazionale. Caratteristica comune a molti interventi è il fatto che  prevedano una stretta collaborazione con le organizzazioni del privato sociale, a cui può essere affidata parte della risposta, ma che soprattutto sono in grado di fare da intermediari tra le istituzioni sanitarie e le comunità, in virtù della presenza capillare sui territori e della maggiore flessibilità di azione.

Per i detenuti

Anche lo stato di salute delle persone in condizione di detenzione, rileva l’Iss, non è ancora sufficientemente studiato. «In Italia vi sono poche conoscenze circa il profilo di salute delle persone in condizione di detenzione. La popolazione carceraria italiana è composta da oltre 56mila persone detenute (dati 2022 del Ministero della Giustizia), spesso in condizioni di sovraffollamento. Questa situazione determina, tra l’altro, un’elevata prevalenza di diagnosi psichiatriche (9,2 ogni 100 detenuti) e, con l’invecchiamento della popolazione carceraria, una maggiore domanda di salute e necessità di cure per il trattamento di patologie croniche».
La valutazione dell’uso dei farmaci condotta in cinque istituti penitenziari delle Asl Roma 2 e della Asl Viterbo ha riportato un elevato ricorso a farmaci per le patologie del sistema nervoso centrale, dell’apparato gastrointestinale e per il trattamento dei disordini metabolici.

L’esclusione sociale come determinante di salute

Come si legge nel rapporto «è consolidata l’evidenza che le diseguaglianze di salute siano una conseguenza delle diverse condizioni socioeconomiche, delle crisi finanziarie, delle politiche economiche e sociali. In termini semplici, le persone più abbienti e con un più alto livello di educazione godono di una salute migliore, si ammalano di meno e vivono più a lungo. Non solo, esiste un gradiente di salute che si estende lungo tutta la scala sociale: la salute peggiora gradualmente man mano che si discende dalla scala sociale, procedendo dalla fascia socioeconomica più elevata a quella più bassa.

Si aggiunge a ciò un altro elemento: il cumularsi fin dalla nascita dei fattori sociali che influenzano l’intero corso della vita, come la salute degli stessi genitori ma anche il loro reddito, l’educazione, la condizione lavorativa, la qualità dell’abitazione dove risiede la famiglia e il quartiere in cui si trova. La povertà assoluta, la mancanza delle risorse elementari per vivere sono presenti anche nei Paesi più ricchi. Alla popolazione che si viene a trovare in questa situazione è negato l’accesso a un’abitazione dignitosa, all’istruzione, ai trasporti e ad altri elementi vitali per una completa partecipazione alla vita sociale. Essere esclusi dalla vita sociale è causa di una salute peggiore e di un maggior rischio di morte prematura. In Italia, secondo l’Istat, il numero di persone in povertà assoluta è passato da circa 1,8 milioni nel 2008 a oltre 5,6 milioni nel 2022, rendendo più urgenti politiche sanitarie mirate e inclusive per affrontare efficacemente le loro esigenze di salute.

Le evidenze generate nel corso del tempo nel settore della ricerca sulle diseguaglianze di salute, e sugli specifici interventi volti a ridurle o a eliminarle, hanno orientato la formulazione e l’implementazione di diverse politiche sociosanitarie. «Tuttavia, la ricerca epidemiologica ha meno esplorato la grave esclusione sociale come determinante di salute e il grado di iniquità di salute sofferto dalle popolazioni gravemente marginalizzate nei Paesi ad alto reddito».

In apertura, nella foto di Stefano Porta/LaPresse, volontari di Progetto Arca assistono un senza dimora a Milano.

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