Welfare
Quel muro di gomma impenetrabile che avvolge il carcere di Padova
Il racconto del tentativo frustrato di venire a capo della burocrazia per poter incontrare e raccontare le esperienze di Ristretti Orizzonti e Cooperativa Giotto che sono nate e cresciute tra le mura del Due Palazzi. Tre mesi di tira e molla tra mail e telefonate senza ottenere mai null’altro che attese proprio mentre, ironia della sorte, il Governo si appresta a varare il Decreto Sicurezza
Tutto era cominciato con una lettera aperta con cui Ornella Favero, fondatrice di Ristretti Orizzonti, aveva lanciato l’allarme sul numero della rivista di settembre. «A dicembre Ristretti ha “compiuto” vent'anni», scriveva nel suo editoriale rivolgendosi ai lettori la fondatrice, «a gennaio nella Casa di reclusione di Padova c'è stato un cambio di direzione. Mettiamo insieme queste due cose perché pensavamo che vent'anni di vita di questa “creatura molesta ma utile”, come aveva definito il nostro giornale il precedente direttore, ci mettesse al sicuro: avevamo le carte in regola per presentarci come una realtà consolidata, attenta, onesta nel fare informazione. E invece le cose non sono andate così, e non perché il nuovo direttore voleva conoscere meglio tutto quello che funziona nel suo istituto, ma perché la decisione di ridimensionare tutti i progetti di Ristretti Orizzonti è stata presa dalla direzione prima di qualsiasi confronto». Un articolo in cui Favero, oltre a spiegare il ridimensionamento cui Ristretti Orizzonti sta a andando incontro, chiedeva sostegno.
A VITA abbiamo deciso di raccogliere l’appello e abbiamo deciso che sarebbe stato utile e bello raccontare le esperienze che rendono il carcere Due Palazzi di Padova un fiore all’occhiello della Giustizia italiana. Oltre a Ristretti infatti in quella struttura ha casa anche la Cooperativa Giotto che con i carcerati produce uno dei panettoni di pasticceria più apprezzati del Paese.
Per poter raccontare queste buone pratiche naturalmente è necessario entrare in carcere dove laboratori e redazione hanno sede. Per entrare in carcere è necessario seguire un iter preciso. Ed è proprio la burocrazia che rende oggi il Due Palazzi un fortino inespugnabile e impenetrabile.
Ma andiamo con ordine. La prima cosa da fare, per presentare una richiesta per una visita giornalistica è scrivere al direttore del carcere.
Settembre
Così il 26 settembre 2018 ho chiamato direttamente il dott. Claudio Mazzeo, direttore della struttura penitenziaria da gennaio 2018. Durante la telefonata, che avrebbe dovuto solo annunciare l’arrivo della richiesta al direttore, negando che la prassi fosse quella mi ha invitato a rivolgermi via mail alla dott.ssa Assunta Borzacchiello, direttore dell’ufficio stampa del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), cosa che ho fatto lo stesso giorno. Quasi in tempo reale la dott.ssa mi ha chiarito che non era lei la persona giusta per questo tipo di pratiche indicandomi il dott. Andrea Cottone, capo ufficio stampa e portavoce del Ministro della Giustizia, come colui che deve dare i nulla osta necessari. Nella stessa data scrivo dunque anche al dott. Cottone. La risposta arriva il primo di novembre via mail. Il dott. Cottone scrive «Deve contattare, cortesemente, il direttore del carcere». Cosa che faccio il 4 ottobre.
Passa un’altra settimana e torno a scrivere al direttore Mazzeo chiedendo lumi. La risposta è che «l'autorizzazione deve essere richiesta al Provveditorato penitenziario del Triveneto con sede a Padova e al Dipartimento amm.ne penitenziaria in quanto sono loro i soggetti che autorizzano il servizio giornalistico che ha evidente diffusione esterna».
Siccome il tentativo con il Dap era stato il primo passaggio, chiamo il Provveditorato penitenziario del Triveneto. Mi fanno sapere che il provveditorato si occupa esclusivamente dei nulla osta che riguardano la stampa locale, quindi non un media nazionale come VITA.
A questo punto non ci sono altri uffici. Nessuno nell’amministrazione penitenziaria italiana, a quanto pare, può approvare o rifiutare un servizio giornalistico in carcere. Né il DAP, né il Ministero della Giustizia, né il direttore, né il provveditorato del Triveneto.
Ottobre
Così il 10 ottobre mando una mail a tutti gli uffici contestualmente per vedere se così si possa superare l’impasse. E così sembra essere. Risponde infatti il giorno dopo (11 ottobre) il dott. Marco Belli, dell’ufficio stampa del Ministero. «Mi spiace per il tortuoso iter di passaggi che ti ha portato a scrivere questa mail», scrive, «la procedura per essere autorizzati ad entrare in carcere a fini giornalistici è molto semplice: indirizzare una richiesta via mail all’attenzione del direttore dell’istituto, specificando le attività per cui si richiede di essere autorizzati. Sarà cura dell’istituto inoltrarla (in ossequio ad una specifica nota del Capo del DAP del 10 agosto scorso) all’Ufficio Stampa del Ministero della Giustizia per il necessario nulla osta. A disposizione per qualsiasi chiarimento, ti auguro buon lavoro».
Il 15 di ottobre arriva anche una mail da parte del direttore Mazzeo che sottolinea come abbia «bisogno di capire meglio come vuole realizzare il servizio giornalistico. La visita con riprese fotografiche dei locali e dei detenuti?». Provvedo a riepilogare nuovamente le esigenze e la ratio del servizio. La risposta sembra essere definitiva: «Oggi giro la sua richiesta all'Ufficio stampa, restiamo per la macchina fotografica. A presto».
Novembre
A questo punto inizia una lunga attesa. Che dura ancora oggi. Siamo al 27 novembre, tre mesi esatti dalla prima chiamata al direttore Mazzeo. Nel mezzo una mezza dozzina di mail di sollecito e un paio di chiamate telefoniche che invece di diradare le perplessità le aumentano. In particolare, l’8 novembre, dopo due giorni di tentativi decido di scrivere al dott. Belli che si era premurato di farmi sapere di essere «a disposizione per qualsiasi chiarimento». Al numero in calce alla mail però non risponde nessuno e così scrivo via mail. Anche così nessuna risposta. Il 10 novembre chiamo l’ufficio stampa del Ministero chiedendo di parlare con Belli. E scopro però che Belli non è di istanza al Ministero, nel cui ufficio stampa lavora, ma è distaccato al Dap. Chiamo il Dap ma non mi possono aiutare perché il dott. Belli non è in sede. Finalmente il giorno seguente mi richiama per chiarirmi che «abbiamo molte cose da fare. Bisogna solo aspettare». Cosa che stiamo ancora facendo.
Ora che serva il tempo necessario per espletare le pratiche burocratiche è del tutto normale. Ma il ping pong di responsabilità era ed è evidentemente voluto.
Perché? Perché proprio nel giorno in cui il Governo vota il Decreto Salvini mettendo al centro del dibattito pubblico proprio il tema della sicurezza dal carcere arriva solo silenzio. Perché esperienze straordinarie e meritorie come quelle del Due Palazzi invece di essere pubblicizzate vengono nascoste? Perché mentre Padova attende, per il 5 dicembre, la nomina a Capitale Europea del Volontariato 2020 si incontra tanta ritrosia da parte del sistema penitenziario nel dimostrare il tanto lavoro che il terzo settore della città ha messo in campo nel recupero e reintegro dei detenuti?
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