Cultura

Quel giorno che i potenti mandarono i Nas per mettere in gabbia l’Alce Nero

La cooperativa del biologico italiano Alce Nera accusata di produrre pasta «con denominazioni, qualifiche e caratteristiche diverse da quelle stabilite dalla legge n.580/1967».

di Redazione

“Notifica di contravvenzione per lire 50 mila”. Porta la data del 3 maggio 1979, il primo atto di una lunga guerra che ha visto Alce Nero e i suoi soci trascinati nelle aule giudiziarie, sulla base di esposti e segnalazioni ai Nas. Accusa? Produrre pasta «con denominazioni, qualifiche e caratteristiche diverse da quelle stabilite dalla legge n.580/1967». Quella norma di pasta integrale e biologica non parla. Ecco i sequestri in tutta Italia da parte dei Nas, le ispezioni degli uffici di igiene, i processi in pretura. Alce Nero piega le gambe sotto la mazzata: la merce viene sequestrata presso i negozi, il danno economico cresce. Inizia una battaglia culturale e politica Venti anni fa, nel giugno del 1981, il Pretore di Urbino però, con una sentenza storica, assolve la coop: «Non hanno usato il termine ?pasta?», scrisse nel dispositivo il giudice Paolo Bardovagni, «non sono colpevoli». Ma altri sequestri si succedono: nel 1983 interviene il Servizio repressioni frodi di Perugia, mentre nel 1991, tornano i sequestri dei Nas (50 tonnellate di pasta e 200 quintali di farina). Il regolamento europeo sulle produzioni biologiche del ?91, recepito dalla legislazione italiana, sana la questione e mette fine ad un raro caso di accanimento giudiziario. Le ragioni di quella persecuzione? «Pubblicai gli atti di un convegno», dice oggi Girolomoni, «dove un dirigente del Centro ricerche Fiat rivelava che nei loro laboratori aveva rinvenuto farina di marmo, analizzando la pasta tradizionale in commercio».


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