Welfare

Quel film punta tutto sulla solita dicotomia

di Redazione

di Meriem-Faten Dhouib
Sarà stata la scena di sesso volgare, o meglio perversa? Le pulsazioni sessuali femminili troppo esplicite? L’universo femminile chiuso di queste donne antiquate o fuori dal tempo? Sta di fatto che l’ultimo lungometraggio di Raja Amari, Dawaha (I segreti), proiettato al Festival di Venezia nel 2009 e premiato al Festival della Corsica, è una ferita nell’orgoglio delle femministe tunisine e delle ragazze più emancipate che hanno detto: «È l’ennesimo film tunisino fatto a tavolino per piacere al pubblico occidentale, pieno di cliché e di luoghi comuni sulla donna segregata e repressa». Il film narra del contrasto tra Salma, che trascorre con il suo fidanzato un fine settimana e vive la sua sessualità in tutta libertà, e tre altre donne (Aicha, Radhia e Wassila) chiuse in uno spazio senza uomini, dove la vicinanza dei corpi crea a poco a poco una patologia. L’uomo sembra il nemico. L’amore invece, un sentimento allontanato dalla vita di queste donne. Una dicotomia, costruita sull’intreccio dei segreti, a scatole cinesi, un incesto, un sequestro e un omicidio. In poche parole il segreto familiare che spesso porta alla distruzione degli esseri e alla loro alienazione. Dawaha è invece la sintesi della situazione attuale della donna tunisina, quella emancipata che si sente diversa dalla sua vicina algerina o egiziana e da quella arretrata. Salma (la donna tunisina libera) viene sequestrata e seppellita, è in pericolo, tra l’altro è sola, e ha bisogno delle altre (donne arabe) per salvarsi e uscire dall’oscurità e dall’oscurantismo (religioso).

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