Mondo

Quel dibattito strumentale sull’accoglienza emergenziale

«Finalmente anche Cantone ha ammesso che le ondate migratorie sono diventate costanti e non si può più parlare di emergenza e che la gestione deve essere più trasparente. La speranza è che ci sia un cambiamento e non solo un turn over di chi sfrutta queste situazioni». A parlare è Marco Ehlardo, ‎referente per la Campania di ActionAid

di Marco Ehlardo

Quando ad interrogarci sulla gestione dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, specialmente di quella cosiddetta emergenziale, eravamo due gatti, le reazioni erano un misto di ironia e diffidenza.

Ne è passata molta di acqua sotto i ponti da allora (ma molta continua a scorrere sottoterra e ben nascosta).

Il tema è ormai divenuto di dominio pubblico. Semmai, se prima il problema era nascosto ad arte, oggi viene spesso trattato strumentalmente. Basti pensare che se in precedenza per alcuni andava tutto bene, oggi a volte si tende, erroneamente, a fare di tutta un’erba un fascio.

Ultima ad aggiungersi all’elenco di chi interviene sul tema dell’accoglienza dei migranti è l’Autorità nazionale anticorruzione. Corruzione ed accoglienza sono troppo spesso andate a braccetto e da ben più di pochi mesi fa, ma meglio tardi che mai.

Nella recente audizione di Raffaele Cantone alla “Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti” ho trovato alcuni spunti interessanti.

Innanzitutto, finalmente, si riconosce che “le ondate migratorie sono diventate costanti e non si può più parlare di emergenza” e che “si è fatto sì che l'emergenza favorisse il perpetuarsi di determinati meccanismi e c'è chi ne ha abusato”. Su questo, sia pur in grave ritardo, si sfonda una porta aperta.

Se ne è accorto, finalmente, anche il Ministero dell’Interno, che dopo aver ampliato lo SPRAR a circa 30.000 posti ha di recente emanato il bando per aumentarli ulteriormente di 10.000, strada che ritengo la più efficace ed auspicabile.

Cantone, poi, si sofferma sulle “strane strutture di accoglienza”, come ad esempio gli alberghi utilizzati in alcune regioni per accogliere richiedenti asilo. Se la prende con le Regioni, ed auspica un ruolo più deciso di coordinamento e controllo da parte delle Prefetture.

Peccato che siano state le stesse Prefetture, in passato e non solo, ad utilizzare queste strutture per affrontare le emergenze, e con criteri non sempre, non dico limpidi, ma almeno comprensibili.

Infine si scaglia contro i monopoli che si sono affermati in alcuni territori.

Su questo, credo, vada fatto un discorso serio, soprattutto dal lato del monitoraggio degli affidamenti, delle attività e dei servizi.

Innanzitutto andrebbero indagate le motivazioni per cui una istituzione locale affida mega progetti di accoglienza ad una singola organizzazione, quando è evidente che la gestione di un progetto di accoglienza per oltre 100 persone risulta essere certamente più complessa che nel caso di numeri molto più piccoli. Cosa c’è dietro questi piccoli monopoli?

Va sottolineato, inoltre, che accoglienza, specialmente nel caso di richiedenti asilo, è un termine dal significato complesso, molto più esteso del semplice albergaggio, che risulta invece la norma specialmente nel caso delle grosse accoglienze straordinarie (ma non solo in quelle).

Va poi indagata quella che è la gestione effettiva di questi grandi progetti, dietro i quali si possono nascondere (e succede) subappalti che, se pur possono garantire la copertura numerica dei posti letto, difficilmente forniscono garanzie sui servizi di tutela, orientamento, assistenza.

Non sono problemi di oggi, ma non c’è che da rallegrarsi perché finalmente si comincia quantomeno a pensare di affrontarli. Semmai, con l’aumento dei numeri, sono aumentati anche i problemi e la loro visibilità: la prima è una cattiva notizia, la seconda una buona.

Quando poi Cantone conclude dicendo che “ho la sensazione che il sistema sia molto più diffuso di quanto apparso a Roma” e nomina in particolare la Campania, direi che da un lato dice un’ovvietà (ma ben venga che finalmente si dica), mentre dall’altro rischia di alimentare il senso comune, che va pericolosamente diffondendosi, che ormai tutto il sistema è marcio. Attenderei l’esito delle inchieste per fare nomi, cognomi e ragioni sociali, e fare le opportune e dovute distinzioni tra chi svolge correttamente il suo compito e chi lucra illegalmente.

Nella speranza che una volta tanto, in questo Paese, le inchieste servano a cambiare un sistema, e non solo a fare un turn over tra chi ne approfittava prima e chi ne approfitterà, con le stesse modalità e le stesse complicità, domani.


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