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Quel “corpo a corpo” per far nascere l’Agenzia italiana allo sviluppo
È questa l'espressione usata dal viceministro Lapo Pistelli che ieri ha incontrato le ong parlando dei decreti attuativi che seguono il varo della nuova legge. I non governativi dal canto loro propongono una road map in tre fasi
Il semestre europeo presieduto dall’Italia è stato positivo e ora “per un’Italia protagonista sui temi dello sviluppo nel 2015”, bisogna continuare su questa strada. Lo dicono le Ong riunite sotto il network Concord che ieri si sono riunite a Roma per un confronto tra società civile, governo, parlamentari, istituzioni italiane ed europee, per fare il punto sui risultati del semestre e presentate le proposte al fine di garantire continuità agli impegni in vista degli importanti appuntamenti sui temi dello sviluppo nel 2015: l’adozione della nuova Agenda globale post 2015, l’Expo, l’Anno europeo per lo sviluppo, il Mediterraneo e la migrazione.
“More and better Europe”, è lo slogan positivo che lanciano per continuare su quella strada intrapresa nell’ultimo semestre che – se pur tra mille difficoltà – ha consentito di arrivare a una posizione comune europea, per nulla scontata all’inizio.
Continuiamo a far vivere i tavoli di coordinamento – dice Francesco Petrelli, portavoce di Concord Italia – e facciamo in modo che le Agende dei prossimi semestri abbiano il tema Migrazione/sviluppo nelle loro priorità.
Per l’Italia è stato fondamentale che questa legislatura abbia portato (dopo anni di lavoro e di consultazioni, hanno ribadito Marina Sereni, Vicepresidente della Camera dei deputati, e Giorgio Tonini, componente Commissione Esteri del Senato) all’approvazione della Legge 125/14, di riforma della Cooperazione che ha superato la vecchia n. 49 del 1987. Ora, però, è necessario il completamento del quadro normativo (ed è la fase più difficile, ha sottolineato Tonini) con i decreti attuativi che diano gambe a questo disegno. “Troppe volte in Italia abbiamo visto morire splendidi disegni naufragati malamente per la mancanza di strumenti adatti che rendano credibili e praticabili gli obiettivi iniziali”. Senza questi atti, afferma il senatore, che è stato il relatore della legge 125, quel piccolo, simbolico, ma importante segno, aver cambiato il nome del ministero (ora è Ministero degli esteri e della Cooperazione internazionale) che ha voluto testimoniare che la politica estera italiana è (fondata sulla) cooperazione internazionale, sulle reti, sulla collaborazione, ecco, rischia di diventare un mero atto nominale.
Il lavoro dal punto di vista del governo è in corso, ha rassicurato il viceministro Lapo Pistelli (in foto impegnato in un summit con il governo del Sudan) entro i 60 gg previsti – a novembre – siamo riusciti ad emanare il Decreto che stabilisce le linee guida per istituire il Consiglio nazionale per la cooperazione e lo sviluppo (“nel tentativo di creare una sorta di orchestra in cui siano presenti tutte le voci”); siamo “impegnati in un corpo a corpo con il Ministero dell'Economia, il Consiglio di Stato, il Parlamento per arrivare presto e bene allo Statuto che stabilisca il funzionamento dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (dal quale poi dipenderà la nomina Direttore, la sede e i bandi per il personale per completare la pianta organica, almeno entro l’anno confida Pistelli); “stiamo inoltre lavorando – rimarca il viceministro – perché questo tema abbia una regia unica a livello dell’intero governo, perché nel suo insieme assuma la consapevolezza della necessità di elaborare un Piano coerente per la Cooperazione. “Confido – ha detto Pistelli – che entro l’anno potremo avere un Regolamento che faccia funzionare l’intera macchina.” Sui fondi, nota dolente, la media europea si è assestata poco sotto l’0,5 dei bilanci nazionali, ma lo stanziamento italiano, appena sopra lo 0,2 è ancora più lontano dallo 0,7 stabilito dagli accordi internazionali. E’ bene però, è stato sottolineato dai protagonisti, che il trend in atto continui, seppure a piccoli passi, a segnare una crescita, senza più indicare inversioni di tendenza come è stato fatto negli anni passati.
Oltre all’aspetto istituzionale – necessario per proseguire – le proposte delle Ong sono chiare e articolate: bisogna arrivare a un Piano di politiche per lo sviluppo coerente, dicono, attraverso tre fasi (una road map, sullo stesso modello previsto dall’Ocse per i suoi progetti).
Prima fase: stabilire obiettivi e priorità, coinvolgendo l’opinione pubblica, lavorando con la società civile, enti di ricerca e gli stessi Paesi partner, per accrescere la consapevolezza dell’importanza del Piano (informare di più); richiedere l’assunzione di impegni pubblici al più alto livello possibile; pubblicare l’agenda con priorità e tempi chiari per l’implementazione e le tappe progressive del Piano a livello nazionale.
Seconda: assicurarsi che le pratiche di lavoro supportino un’effettiva comunicazione tra i diversi ministeri, stabilendo anche meccanismi formali di coordinamento interministeriale per le decisioni da adottare, con mandati e responsabilità specifici; individuare un mandato e ruolo chiaro e attivo dell’Agenzia nella discussione sul Piano.
Terza: dedicare risorse adeguate e specifiche (a livello nazionale e internazionale) per monitorare gli impatti sul campo, e i progressi fatti, coinvolgendo società civile, istituzioni della ricerca e riportando i risultati al Consiglio nazionale e dando conto a Parlamento e opinione pubblica.
Infine, è importante “chiudere il cerchio”, prevedendo procedure che portino al cambiamento delle politiche che risultano incoerenti con la cooperazione allo sviluppo. Per far sì che questa importante opera di assestamento continuo, in grado di migliorare efficacia ed efficienza delle attività in corso, le Ong propongono che “i risultati del monitoraggio, una volta discussi, si traducano in indirizzi parlamentari e del Consiglio nazionale”.
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