Educazione
Quel che direi ai ragazzi dello stupro di Palermo, davanti a un falò
Noi educatori, cosa diremmo agli autori delle stupro di gruppo di Palermo? Da dove ripartire con loro e con tutti i loro coetanei? Lo abbiamo chiesto a Dafne Guida, presidente della cooperativa Stripes. «Racconterei della differenza tra Eros e Thanatos, direi che lo so che hanno buchi nel cuore, ma che le ferite devono generare cambiamento. Direi che il loro silenzio è anche peggio della loro vomitevole performance»
di Dafne Guida
Ci sono nubi dense all’orizzonte in questo nuovo inizio di anno educativo. Brucia e brucerà ancora per molto tempo quella sensazione di spaesamento e sconfitta generata dalla cronaca dello stupro di gruppo di Palermo. Quei ragazzi vorrei incontrarli. Tutti Insieme.
A quei ragazzi, in modo naïf ed estemporaneo, vorrei raccontare davanti ad un falò estivo la differenza tra Eros e Thanatos, amore e morte. Tra l’amore che genera e la pulsione che distrugge Tra il piacere delle relazioni e l’enfasi patologica sul principio del possesso.
Vorrei dire loro che lo so che hanno dei buchi nel cuore di cui nessuno si è occupato quando era il momento di farlo, ma che la consapevolezza di essere feriti non può che generare un desiderio di cambiamento. Delle circostanze e di sé.
Vorrei dirgli che lo so che hanno dei buchi nel cuore di cui nessuno si è occupato quando era il momento di farlo, ma che la consapevolezza di essere feriti non può che generare un desiderio di cambiamento
Dafne Guida, pedagogista, presidente cooperaativa sociale Stripes
Per raccontare di questo e di quanto sia importante l’alfabetizzazione emotiva, non basterebbe però il falò: lo so. Come non basterebbero le tavole rotonde e i laboratori in classe, le buone letture obbligatorie (a partire dal buon Roland Barthes che ci parla dei frammenti di un discorso amoroso) né la lettura del Codice penale.
Per non essere sopraffatti dall’impotenza dovremmo fare squadra, adulti e ragazzi, e domandarci “perché”. Le domande non basterebbero ad impedire future aggressioni, forse, ma comincerebbero a far germogliare il seme del dubbio. Perché nemmeno uno di quei sette giovani ha avuto il coraggio di urlare “Ma cosa stiamo facendo? È sbagliato!”. Di cosa aveva paura? Di quale giudizio si è preoccupato? Davvero per essere incluso nel gruppo doveva annichilire un altro essere umano e usarlo come un pezzo di carne? Davvero il prezzo è questo?
Non possiamo non chiederci quanta responsabilità ha una società che condiziona l’inclusione alla capacità di omologarsi, ossia alla capacità di mettere in stand by in funzionamento della propria mente e del proprio cuore
— Dafne Guida
Allora non possiamo non chiederci quanta responsabilità ha una società che condiziona l’inclusione alla capacità di omologarsi, ossia alla capacità di mettere in stand by in funzionamento della propria mente e del proprio cuore.
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Se incontrassi per davvero quei ragazzi – e i loro coetanei – cercherei di fargli capire prima di tutto che ogni silenzio su questa vicenda è un danno ancora più serio della loro vomitevole performance. Si tende ad alzare un silenzio dannoso sui responsabili, che non aiuta a vedere però le cose come sono e ad affrontarne le cause dalla radice. Allora per ripartire serve parlarne, non girare la pagina del giornale che riporta gli esiti delle indagini, non stendere veli impietositi, non relegare tutte le spiegazioni frettolosamente al “disagio della civiltà”. Serve iniziare questo anno scolastico chiedendo ai ragazzi e alle ragazze una riflessione sui fatti di Palermo, serve usare la parola per contrastare ogni colpevole silenzio. Va ripensato anche il modo in cui si fa educazione sessuale e affettiva nelle nostre scuole.
Non ci sono corpi, odori forti, voci che implorano pietà nel mondo virtuale. Lo scontro con la realtà vera ha schifato anche loro. Va affrontato il tema di una educazione ai sentimenti che si gioca sul piano della realtà più che sull’iconografia del cuore
Dafne Guida
C’è un’altra considerazione importante da fare. I ragazzi coinvolti nello stupro di gruppo a Palermo vanno dai 17 ai 21 anni. Sono ragazzi che nell’epoca del Covid avevano 14/18 anni. Penalizzati nell’esperienza della realtà e immersi nel mondo virtuale del porno e della violenza, dove tutto è possibile: non ci sono corpi, odori forti, voci che implorano pietà nel mondo virtuale. Lo scontro con la realtà vera ha schifato anche loro e lo hanno detto nelle intercettazioni. Va affrontato il tema di una educazione ai sentimenti che si gioca sul piano della realtà più che sull’iconografia del cuore.
Foto di Cailin Grant-Jansen su Unsplash
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