Non profit

Quel “fratello” in più.

Sette anni fa Silvia Bassi, madre con già due figli, decide di accogliere un bambino. È l’inizio di una nuova avventura. Che coinvolge altre 70 coppie che fondano un’associazione.

di Antonietta Nembri

«Q uando apri la porta di casa tua a qualcuno, questo piccolo gesto ti cambia la vita». Non è una frase fatta è l?esperienza quotidiana di Silvia Bassi. Sette anni fa ha risposto positivamente all?invito di accogliere in casa sua un bambino di sei anni che il tribunale doveva dare in affidamento. «E la vita cambia. Cambia per te e anche per i tuoi figli che si scontrano con la decisione dei genitori». Nella casa di Silvia, infatti, c?erano già i suoi due bambini di quatto e due anni. «I piccoli fanno più fatica di fronte a questa modalità di accoglienza, ma l?avere dei ?fratelli? anche se in affido è molto utile».
Per Silvia parlare della sua esperienza è una cosa semplice, come semplici sono le parole per descrivere l?esperienza di accoglienza che da sette anni sta vivendo.
«È nato tutto nel ?92», racconta, «allora insegnavo alle scuole medie, mi è stato proposto di accogliere temporaneamente un bambino di 6 anni che era stato dato in affido coatto, doveva essere per pochi mesi, temporaneo insomma, ma ora è con noi da sette anni, oggi il bambino è in terza media». Una volta aperta la porta di casa, diventa più semplice anche dare la propria disponibilità ad accogliere. «In questo periodo abbiamo avuto con noi, per un anno, una ragazza di 18 anni che aveva perso tragicamente il fidanzato e aveva bisogno di un luogo dove stare. Se guardo indietro nel tempo mi accorgo che la mia vita è proprio cambiata».
Quella di Silvia è una delle settanta famiglie legate all?associazione ?Fraternità? di Montecremasco che hanno scelto di aderire alla proposta di accogliere nella propria casa dei bambini in affido. «L?associazione», conferma Silvia Bassi, «non è un aspetto puramente formale, per me è stata molto importante dal punto di vista formativo, da un lato, ma anche nell?aiuto che ho ricevuto nell?affrontare i problemi concreti della vita di tutti i giorni, dall?altro». Ci sono tante incombenze: dal rapporto con le famiglie d?origine, ai colloqui con i servizi sociali. «L?associazione è un sostegno e un filtro, è la possibilità di avere uno punto di vista esterno», spiega Silvia «La risorsa di un?altra famiglia per molti di questi ragazzi che vengono allontanati dal loro ambiente è la più preziosa per affrontare i problemi di abbandono e disagio. Ma in questi anni di esperienza mi sono accorta che di fronte alla disponibilità di molte famiglie si devono registrare purtroppo molti fallimenti, soprattutto se la famiglia affidataria viene lasciata da sola». Per Silvia è esperienza quotidiana l?inadeguatezza e le difficoltà che ogni famiglia deve registrare nel momento in cui decide di accogliere un bambino che sai non essere tuo e che non lo sarà mai. Un ragazzo al quale voler bene nella vita di tutti i giorni, una persona cui donare un rapporto familiare ?normale? e quotidiano. «Se fossi stata da sola, con mio marito e i miei figli molto probabilmente non avrei mai cominciato», ammette «per me è stata fondamentale la provocazione quotidiana degli amici che avevano già fatto questa scelta, di quelli che in modo radicale nelle case famiglie erano diventati genitori affidatari di ragazzi e ragazze difficili. In una parola per la mia famiglia è stato l?essere in un cammino comune con altri ciò che ci ha aiutato ad andare avanti».
E nella vita che cambia Silvia si è accorta che quel ?sì?, detto a una proposta è sempre attuale, lo ridirebbe anche oggi, «Oggi non ci concepiamo più come una famiglia di quattro persone dove tutto il resto è un?eccezione alla normalità. Le nostre quattro vite sono cambiate, ci concepiamo sia come famiglia sia come persone in modo differente. Abbiamo imparato a guardare in modo diverso alle cose che accadono agli imprevisti. Umanamente abbiamo guadagnato moltissimo, siamo molto più ricchi di umanità di quanto non lo fossimo sette anni fa». ?
Antonietta Nembri

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