Famiglia

Quei volontari che dividono le coscienze

Sono oltre 10mila, quasi tutti professionisti. Ritratto dei militanti per la vita

di Sara De Carli

Un volontario dell?Mpv, il Movimento per la vita, non l?abbiamo mai visto all?opera. Non sappiamo se sia una guardia svizzera o un inquisitore, e se – come dice la vignetta di Giuliano su Repubblica di lunedì 21 novembre – è il rischio di mettere al mondo uno uguale a lui a far decidere una donna per l?aborto. Non sappiamo neanche se sia vero che ti chiedono a che settiman a sei e poi ti fanno vedere le foto di un feto della stessa età di quello che ti porti dentro, per giocare la carta dell?emotività e del senso di colpa. Andremo a vederlo di persona, per non schierarci per partito preso. Per il momento abbiamo provato a capire chi sono i volontari dell?Mpv. Intanto sono circa 10mila. Perlomeno quelli che prestano un servizio stabile nei Cav – Centri di aiuto alla vita, il braccio operativo dell?Mpv. I Cav presenti sul territorio nazionale sono 278: nel 2004 ci sono passate 17.029 donne, di cui 7.622 (il 45%) in gravidanza. Il 73% erano straniere, il 12% aveva già in mano un certificato per abortire e di esse l?81% ha poi proseguito la gravidanza. I servizi offerti sono i più disparati: vestiti, pannolini, omogeneizzati o denaro, servizio di baby sitting, una mano nella ricerca di un lavoro o di una casa, fino all?accoglienza di chi se ne è andata da casa: una rete globale, anche perché molti Cav già oggi gestiscono un consultorio familiare. In primis l?esperienza Questo per dire che non tutti i volontari Cav vivono l?incontro con la donna che aspetta un bambino che non è affatto sicura di volere. Il colloquio lo gestiscono «solo due o tre persone per Cav, nemmeno il 10% dei volontari», dice Carlo Casini, presidente nazionale dell?Mpv. «In genere sono donne che già lavorano nel settore, medici, ostetriche, infermiere. Ma ciò che conta di più è l?esperienza umana: alcune delle nostre volontarie hanno anche abortito, e forse sono loro le più efficaci». Con Gianni Mussini, vicepresidente dell?Mpv, disegniamo il percorso formativo di una volontaria che fa accoglienza: «Sono tutte donne, perché scatta più empatia, non troppo giovani, e generalmente mamme». Spesso si tratta di professioniste che fanno volontariato, perché ogni Cav tenta di avere tutta la gamma di specialisti potenzialmente utili: una ginecologa, un?ostetrica, una psicologa, un?assistente sociale, un avvocato, un medico, una pedagogista e, sempre più richiesto, un mediatore familiare. Anche se poi non è detto che ci riesca. Una volta all?anno c?è il convegno nazionale, e due settimane di formazione per tutti i volontari, mentre la formazione permanente è affidata alle singole sedi regionali, attraverso convegni, seminari e corsi. Spesso ci si appoggia all?università Cattolica, o si lavora in rete con altre realtà, come l?Istituto La Casa, la Federazione lombarda centri di assistenza alla famiglia e l?Unione dei consultori italiani prematrimoniali e matrimoniali. In Lombardia molte iniziative sono organizzate da Federvita in collaborazione con la Regione. Trovare le parole fatate Per capire di cosa si parla in questi corsi basta andare sul sito www.mpv.org: privacy, adozioni, Pacs, rapporto tra ospedale e consultorio, sessualità e persona umana, applicazione della 194. In più c?è un corso iniziale che mette a fuoco il modo in cui entrare in relazione con la donna. Forse è quello che non funziona bene, altrimenti come spiegarsi la patina di crociati che permane su questi volontari? «Chi fa queste accuse non ci ha mai visto lavorare», spiega Mussini. «Non abbiamo tempo per i discorsi ideologici antiaborto, che forse non servirebbero. È la donna che decide, noi dobbiamo solo trovare le ?parole fatate? per farle intravedere una speranza. È la speranza che fa cambiare idea, che le fa sentire che il suo desiderio di avere il bimbo non è incompatibile con la realtà. E in questo senso anche i 160 euro al mese del Progetto Gemma possono cambiare le cose». La ricetta di Livia Turco Per le donne più fondi alla 328 Per la responsabile per le politiche sociali dei Ds, Livia Turco «lo stato di applicazione della 194 è ampiamente noto. Che sia una legge monitorata lo dimostrano le puntuali relazioni in circolazione, da cui emerge prima di tutto un merito: con la 194 il ricorso all?aborto è diminuito in modo consistente». Ma dai numeri, sottolinea la Turco, escono fuori anche problemi di applicazione: «Il tasso di abortività è aumentato tra le donne immigrate e quando sono incinte noi le licenziamo». Inoltre, l?alto numero di medici antiabortisti, sottolinea l?ex ministro al Welfare, allunga le liste d?attesa negli ospedali. In generale occorrono punti parto negli ospedali, l?assistenza domiciliare post partum, progetti e strutture per l?infanzia. «Sono interventi che si possono fare subito. Non ci devono più essere donne che abortiscono perché in condizioni disagiate. Aiutiamole aumentando i finanziamenti alla legge quadro sulle politiche sociali».


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