Scuola

Quei tesori nascosti negli insegnanti di sostegno non specializzati

Gli insegnanti di sostegno non ci sono e in classe così sempre più spesso così ci vanno figure non specializzate. Come garantire agli studenti un supporto di qualità? In queste condizioni, non nel migliore dei mondi possibili, perché è qui ed ora che la scuola deve operare. In attesa di una urgente riforma del sistema, ecco la risposta di Angelo Lucio Rossi, dirigente dell'IC Alda Merini di Milano

di Rossana Certini

Foto di Adam Winger su Unsplash

«Insegnanti di sostegno cercasi»: è questo il grido d’aiuto che proviene dalle scuole di ogni ordine e grado. Una situazione complessa per i dirigenti scolastici che devono districarsi tra la carenza di insegnanti specializzati e l’aumento continuo delle certificazioni. A complicare ulteriormente il quadro ci sono i meccanismi di reclutamento degli Uffici scolastici provinciali che, finite le disponibilità dei docenti specializzati sul sostegno, pescano da quelle generali dei docenti di materia. Quando anche queste graduatorie non bastano a coprire le cattedre di sostegno vacanti, si passa alla procedura dell’interpello, un avviso pubblico rivolto a tutti i laureati disponibili a ricoprire la cattedra vacante.

Nessuna novità: nell’anno scolastico 2022/23 gli alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane sono stati quasi 338mila (pari al 4,1% degli iscritti), così che il numero degli insegnanti di sostegno è in crescita (+10% nel 2022/23 sull’anno precedente). Gli insegnanti di sostegno sono circa 228mila (218mila nella scuola statale e 10mila nella scuola non statale): tra loro più di 67mila (circa il 30%) sono stati selezionati dalle liste dei docenti curricolari (secondo l’Istat erano il 37% nell’anno scolastico 2019/20).

In questo contesto è facile capire come costruire una scuola che promuova l’equità educativa, garantendo a ogni studente pari opportunità e risorse, diventa sempre più complesso. Ma se questo è il contesto e se le procedure di reclutamento non aiutano, a fare la differenza possono essere solo le persone. Questa ormai sembra essere una costante nella scuola italiana, come spiega Angelo Lucio Rossi, dirigente scolastico all’Istituto comprensivo statale Alda Merini di Milano: «È importante capire che bisogna vivere l’esperienza scolastica insieme ai docenti che ci vengono assegnati e l’unico modo per farlo al meglio è dialogare con loro. È per questo che ho deciso ormai da tempo che ogni volta che nel mio istituto arriva un nuovo docente, anche supplente per poco tempo, la prima cosa che faccio è dedicare del tempo a un colloquio con lui».

È importante capire che bisogna vivere l’esperienza scolastica insieme ai docenti che ci vengono assegnati e l’unico modo per farlo al meglio è dialogare con loro

Angelo Lucio Rossi, dirigente scolastico

Il reclutamento, soprattutto per i docenti di sostegno, non sempre permette di garantire figure specializzate: è così. Ma questo non può diventare un alibi per non offrire qualità ai ragazzi e alle loro famiglie. «Una volta mi è capitato che per coprire una cattedra di sostegno per un ragazzo con grave disturbo da deficit di attenzione e iperattività, l’ufficio scolastico mi abbia assegnato un docente di musica non specializzato nel sostegno. Il giorno dell’assunzione ho parlato a lungo con lui e ho scoperto la sua passione per il pianoforte. È così che abbiamo deciso di lavorare con questo strumento per catturare l’attenzione dello studente, che fino ad allora non riusciva a stare fermo mai, né in aula né nei corridoi», prosegue Rossi. «Suonare il pianoforte ha ridato autostima al ragazzo, tanto da arrivare a partecipare al concerto organizzato per la giornata della scuola aperta. Oggi questo ragazzo continua a comporre musica e dedica i suoi pezzi alle persone che ama».

Valorizzare i talenti dei docenti non specializzati per il sostegno

Il punto, quindi, sembra essere quello di valorizzare ciò che si ha a disposizione, perché «in ogni persona ci sono passioni, talenti ed esperienze che i dirigenti devono saper intravedere, anche se il docente che hanno di fronte non ha una formazione specifica sul sostegno». Per Rossi, «dobbiamo saper cogliere l’impeto interiore che c’è in ogni persona. La mia esperienza mi permette di affermare con sicurezza che nell’80% dei docenti supplenti non specializzati è possibile rintracciare delle passioni all’apparenza lontane dalla dimensione scolastica. Può essere un’attività che svolgono il pomeriggio con i gruppi di ragazzi in parrocchia o la passione per uno sport oppure per un’attività manuale. Ma se non si instaura un dialogo iniziale con loro si perde l’occasione di stringere un patto educativo per il bene dei nostri studenti».

Non bisogna neanche dimenticare che la realizzazione del piano educativo individuale per gli studenti con disabilità coinvolge anche il Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione-Glo composto da tutti i docenti del consiglio di classe e presieduto dal dirigente scolastico. Al Glo partecipano anche i genitori dell’allievo e le figure professionali interne ed esterne che interagiscono con lo studente nel suo percorso di crescita. Pertanto, prosegue Rossi, «il docente di sostegno non lavora mai in solitudine, ma è parte di un progetto educativo che è in continua costruzione. Tutti sappiamo che per la buona riuscita del progetto educativo di uno studente con disabilità non basta solo l’insegnante di sostegno ma serve uno sguardo aperto di tutti gli insegnanti della classe sul ragazzo. Quindi a mio avviso il vero tema è che l’insegnante di sostegno sia collocato in un contesto aperto alla questione educativa».

Progetti educativi innovativi: quando il dialogo fa la differenza

Tra i tanti ricordi scolastici di Angelo Lucio Rossi ce n’è uno emblematico di come il dialogo può rendere possibile la realizzazione di un progetto educativo adatto allo studente con disabilità anche quando a un primo sguardo il nuovo docente supplente sembra impreparato e inadeguato al ruolo che deve ricoprire. «Qualche tempo fa ci è stato assegnato un docente che arrivava da una regione molto lontana», ricorda il dirigente, «era spaesato, catapultato in un’altra realtà. Pieno di voglia di lavorare ma chiaramente stava vivendo un momento di fragilità. Così abbiamo iniziato a parlare di molte cose, anche di vita personale, e a un certo punto della conversazione mi ha raccontato che aveva lavorato in una radio. In quel suo racconto ci ho visto una passione, la possibilità di mettere in connessione lui e lo studente attraverso l’attività radiofonica. E proprio in questi giorni, grazie al lavoro fatto con questo docente di sostegno, nel nostro istituto sta partendo un progetto radiofonico che abbiamo inserito tra le attività Pnrr».

Del resto il sostegno è l’unico insegnamento che mette lo studente al centro dei processi educativi o, usando le parole di Rossi, «l’insegnante di sostegno è colui che mette in pratica un’educazione capace di perdonare la diversità». Un’espressione che spiega così: «La mia esperienza di 50 anni di lavoro mi fa dire che questo è il senso della nostra azione educativa. Perdonare la diversità vuol dire abbracciarla».

Il dirigente scolastico: un leader educativo che supera le barriere burocratiche

Per superare le barriere burocratiche che a volte diventano ostacoli alla riuscita del progetto educativo è allora fondamentale che il dirigente scolastico sia un leader pedagogico ed educativo, piuttosto che un esperto di materie giuridiche. È essenziale saper osservare e comprendere ogni singolo docente dell’istituto in modo personalizzato. «Intorno all’insegnante di sostegno deve essere costruita una rete che lo supporti quotidianamente», afferma Rossi, «per esempio, lo sportello psicologico scolastico dovrebbe ampliare la sua attività, affrontando anche le problematiche legate alla disabilità presenti nell’istituto. Sono sempre più convinto che gli studenti con disabilità possano aiutarci a dare vita a nuovi modelli di educazione, cura e contratti educativi».

Rossi sottolinea come «nel rapporto tra docente di sostegno e studente con disabilità, a fare la differenza può essere anche solo uno sguardo. È successo molte volte che ragazzi con disabilità siano riusciti a entrare in connessione con il docente grazie a uno sguardo che li ha chiamati e coinvolti, come una calamita». Basta uno sguardo, dunque, e lo studente inizia a collaborare tanto che «nascono progetti educativi straordinari, come quelli in cui i ragazzi si esprimono attraverso la manipolazione della creta, i disegni o la creazione di oggetti. Questi progetti riescono a coinvolgono tutta la classe e vengono poi presentati alla comunità con delle mostre. Così, ragazzi che pochi mesi prima sembravano impenetrabili e comunicavano con il mondo solo attraverso reazioni fisiche forti, hanno cambiato il loro modo di comunicare grazie all’empatia dei loro docenti di sostegno. Il loro cambiamento ha un impatto anche su chi gli sta vicino: dagli insegnanti della classe ai genitori, fino ai nonni. La scuola diventa così una casa accogliente per questi ragazzi».

L’insegnante di sostegno è colui che mette in pratica un’educazione capace di perdonare la diversità. Perdonare la diversità vuol dire abbracciarla

Angelo Lucio Rossi

Inoltre, gli insegnanti di sostegno sono spesso propulsori di innovazione all’interno dell’istituto. È il caso di due giovani docenti in anno di prova che hanno proposto alla vicepreside dell’istituto, la professoressa Rossella Viaconzi, di realizzare un’aula Teacch, un metodo che adotta un approccio globale per la cura di persone con autismo o altre disabilità comunicative. «Ho accolto con grande entusiasmo la loro proposta», racconta Viaconzi. «Ho subito contattato la cooperativa Fabula, che si occupa di educazione, autismo e disabilità psichiche e intellettive nelle zone di Milano, provincia e Monza, per avere consigli su come realizzare l’aula, che presto sarà pronta».

La domanda da porsi, quindi, non è tanto come coprire le cattedre di sostegno con insegnanti specializzati nel sostegno, cosa che sarebbe l’ideale ma che ad oggi è impossibile. La vera sfida è come creare una comunità con le risorse che si hanno. «L’apprendimento è legato all’affettività», conclude Angelo Lucio Rossi, «quindi è fondamentale partire da questa consapevolezza e provare a sperimentare, insieme ai docenti, anche se non specializzati, nuove modalità per coinvolgere lo studente e aiutarlo a raggiungere i suoi personali obiettivi di competenza».

Foto di Adam Winger su Unsplash

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.