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Quei silenzi colpevoli su Gerusalemme
Il Medio Oriente sembra ormai una fetta di mondo distante secoli dallla politica occidentale
È persino imbarazzante l?afasia del mondo occidentale davanti allo stillicidio di attentati e di vendette che sta distruggendo ogni ipotesi di convivenza in Israele. Imbarazzante e tragica: il Medio Oriente sembra ormai una fetta di mondo distante secoli dai problemi che agitano le notti della politica occidentale e dei nostri ministri (alle prese con Sanremo, Rai, girotondi).
Eppure, il Medio Oriente è qui alle porte, affacciato sul nostro stesso mare. E una delle ultime vittime, parlava anche italiano: si chiamava Yochai Di Porto, era uno dei soldati uccisi domenica 3 marzo dal cecchino palestinese, al posto di blocco di Ofra. I suoi genitori sono romani e il padre Giacomo, al funerale, ha pronunciato parole che i ministri farebbero bene ad ascoltare: «Ora che sei lassù, dì al governo di far la pace una volta per tutte con i palestinesi. Tanto questa terra ha spazio per due popoli e per due nazioni».
È una logica pacifica ed elementare che, come dimostrano i sondaggi, sta facendosi sempre più largo nella popolazione israeliana, se non per convinzione …sicuramente per disperazione. I consensi alla politica di Sharon sono in caduta libera e se respingerà (com?è probabile) il piano di pace che Simon Peres ha messo a punto con il presidente del Parlamento palestinese Abu Ala, la sua fine politica sarà vicina. Peres, infatti, difficilmente accetterà l?ennesimo smacco imposto dal suo primo ministro e, dimettendosi, aprirà scenari foschi in Israele. Intanto a Ovest si resta a guardare. Gli americani rimbalzano il proprio appoggio a un leader o all?altro, secondo i propri tattici interessi, gli europei brillano per il vuoto di iniziativa politica. Ha dovuto rifarsi vivo l?anziano Giulio Andreotti, che ha rispolverato una vecchia sigla, l?Associazione Italia-Palestina, per provare a sollecitare qualche intervento di peso: «Un intervento politico esterno. Finalmente un?iniziativa politica», ha chiesto.
Mentre il conteggio dei morti impietosamente sale, con un ritmo che neppure i dispacci di agenzia riescono a reggere, il ritmo di un tragico tassametro. Al 5 marzo, ore 18, siamo a 1.355 morti (1.027 palestinesi e 305 israeliani) da quella irresponsabile passeggiata di Sharon sulla spianata del tempio che il 28 settembre 2000 scatenò questo conflitto. Solo poche voci inascoltate si levano per gridare l?insopportabilità di questo scandalo. La voce del Papa, innanzitutto, che domenica ha diffuso ai leader del mondo il decalogo della pace esito della giornata di Assisi. Sono dieci punti assolutamente ragionevoli che, come ha sottolineato l?Osservatore romano, è bene che soprattutto se ne ricordino «tutti quei Paesi che rivendicano i valori della loro civiltà e che per salvaguardare quei valori si proclamano in lotta contro il terrorismo».
Un?altra voce fragile è quella dei volontari, che incredibilmente continuano a tenere un ponte tra due mondi in guerra (e tra quei due mondi e il nostro, perso nelle solite, inutili, e perciò ignobili, risse).
Ecco il messaggio che ci è giunto da Francesca, Giovanni, Luca, Fabio delle associazioni Papa Giovanni XXIII e Peacelink: «Oggi [3 marzo] siamo a Ramallah sotto le bombe degli F16. Ieri sera eravamo a Gerusalemme, dove si è fatto saltare in aria il kamikaze. Vorremmo riuscire a comunicarvi ciò che stiamo provando. È difficile. Il rumore delle bombe è uguale, ?di là?e ?di qua?. Guardando indietro vediamo soltanto due giorni di follia. Fuori stanno ancora sparando. E noi non abbiamo più parole». No, amici, voi le vostre parole siete stati capaci di pronunciarle. Sono le parole dei vostri gesti di pace. Gli unici gesti ragionevoli che possiamo annotare, mentre in Italia la politica discute di Rai, Sanremo e persino dei ?lunedì dell?amore di Berlusconi?.
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