Cultura

Quei popoli in bilico

Nigeria, Sudan, Pakistan, Indonesia, Filippine: dopo l'11 settembre e gli attacchi americani sono sull'orlo della crisi

di Redazione

NIGERIA Come si è arrivati a quei 200 morti Duecento persone sono rimaste uccise a Kano il 12 ottobre, durante scontri di piazza tra cristiani e musulmani: questo il bilancio di una delle giornate più tristi per la convivenza tra le religioni e le etnie in Nigeria. Il tutto a prescindere dall’11 settembre: gli scontri di Kano hanno radici lontane e, soprattutto, non sono purtroppo una novità per il Paese. Ricca di petrolio, la Nigeria è stata una colonia inglese sino al 1960 e ha sempre sofferto al suo interno forti tensioni tra le etnie: gli Ibo, cristiano-animisti, concentrati nel sudest, gli Hausa-Fulani, musulmani che abitano al nord, e gli Yoruba del sudovest, metà cristiani e metà musulmani. Guerre civili, colpi di Stato e governi disonesti sono la norma per questo Paese che, dall’inizio degli anni 90, è anche prostrato da una crisi economica molto forte. Che aggrava odi etnici, tribali e religiosi. Una guerra tra poveri che, ogni tanto, riesplode con massacri come quello di Kaduna, nel febbraio 2000, quando almeno 2mila persone persero la vita in scontri tra cristiani e musulmani. Questi ultimi, accomunati all’etnia Hausa-Fulani, controllano il Paese e l’astio dei cristiano-animisti nei loro confronti è aumentato da quando il governo del presidente Obasanjo ha autorizzato l’applicazione della shari’a (la legge islamica) in alcuni Stati abitati anche da non musulmani, in violazione della Costituzione. Popolazione: 106.409.000 Superficie: 923.768 kmq Religione: musulmani: 50%; cristiani: 40%; animisti: 9%. Numero cattolici: 13.483.000 John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja e presidente della Conferenza episcopale nigeriana era a Roma per il Sinodo mentre nella sua Nigeria si consumava l’ennesima strage contro i cattolici, a Kano. L’agenzia Fides lo ha raggiunto a caldo, per fargli commentare i fatti. L’intervista è un documento, umanamente straordinario, di come, anche nel dramma, lo spirito di tolleranza possa ispirare le parole di un pastore e leader religioso. Domanda: Che cosa è successo a Kano? John Onaiyekan: Il governo nigeriano, con la sua politica, non favorisce le manifestazioni di estremisti, soprattutto in questo clima internazionale. Così, mentre i fondamentalisti islamici manifestavano, portando foto di Bin Laden, la polizia ha caricato i manifestanti per disperderli. Sono cominciati scontri fra polizia e manifestanti e il gruppo ha cominciato ad attaccare bancarelle e negozi e si è creato un caos generale. Siccome per gli integralisti i cristiani sono associati all’Occidente e agli americani, hanno anche assaltato alcune chiese. Ma sono state attaccate pure delle moschee. La situazione è sfuggita di mano e il governo ha dovuto mandare perfino l’esercito armato per sedare le violenze. I manifestanti non sono tipi che tengono alla loro vita e così un certo numero di loro sono stati uccisi. Purtroppo, ogni volta che ci sono questi scontri, si creano ferite che producono rabbia e a loro volta divengono motivi per futuri scontri. Fra i musulmani c’era molta insoddisfazione dopo gli scontri a Jos, alcune settimane fa. Molti di loro avevano trovato rifugio a Kano, città a larga maggioranza musulmana. E sono proprio loro ad aver acceso la miccia per questi scontri che, va detto, si sono limitati a Kano. Il vescovo mi ha confermato che non ci sono stati incidenti da altre parti e nei quartieri cristiani. Ad esempio, la cattedrale di Kano è intatta, sebbene sia un evidente simbolo cristiano. Domanda: Ma cosa significa tutto ciò? Onaiyekan: Vi sono persone che sono fanatiche. E questo fanatismo è divenuto un network internazionale. I nostri gruppi in Nigeria sono in continuo contatto con questa rete: video e audiocassette che arrivano; programmi radio in arabo, ripetuti poi nella lingua locale; predicazioni in moschea tenute non dagli imam locali, ma da mullah che hanno studiato in Egitto, Libia, Pakistan e magari in Afghanistan, in scuole dove si coltiva il fondamentalismo. Essi ritornano a casa con il cuore pieno di estremismo. D’altra parte, nell’Islam non c’è modo di controllare la fede da parte di autorità e così nessuno riesce a ridurre la loro influenza. Domanda: Ma questo network non rischia di creare uno scontro fra civiltà, fra Cristianesimo e Islam? Onaiyekan: Tutto dipende dalla risposta del cosiddetto Occidente civilizzato che controlla il cosiddetto mondo globalizzato. Domanda: Non pensa che questa guerra incrementi lo scontro fra cristiani e musulmani nel mondo? Onaiyekan: Gli estremisti che parlano di cristiani e musulmani, non sanno di cosa parlano o usano di proposito la maschera religiosa per scuotere la situazione. Sappiamo molto bene che il ricco Occidente non è condotto da spirito cristiano. Non è questione di Cristianesimo e Islam. Anzi, se parliamo di Cristianesimo, forse i cristiani dovrebbero lottare contro questo mondo occidentale, così ingiusto. Lo ha detto anche il Santo padre: la divisione fra ricchi e poveri non è volontà di Dio! Facciamo un esempio: i missili bellici a destinazione codificata costano milioni di dollari e vengono scaraventati nel deserto. Uno di loro è sufficiente per costruire almeno venti ospedali in Nigeria. Non è folle tutto ciò? Domandiamoci: che tipo di persone sono quelle che prendono queste decisioni? Non sarebbe più efficace braccare e prendere Bin Laden costruendo decine di ospedali in Afghanistan, piuttosto che scaricare centinaia di bombe nel deserto? Io domando veramente al signor George Bush: risparmi una giornata di bombardamenti e venga a costruire tutti gli ospedali della Nigeria. Ma questo lo abbiamo domandato tante volte e non hanno mai risposto: il denaro che viene impiegato negli armamenti è uno spreco perché non ci serviranno. A paragone con i bisogni essenziali dell’umanità, è davvero una vergogna e una mancanza di senso. Speriamo che questo momento serva anche a una revisione delle coscienze e a una migliore ed equa distribuzione delle risorse nel mondo. Se continua lo squilibrio, non ci sarà pace. Se non vogliamo fare niente per la giustizia nel mondo, non stupiamoci poi che i bambini portino in giro come trofei le foto di Bin Laden. IRAQ A Baghdad si celebra la messa L’Iraq è lo Stato dell’area in cui i cristiani sono maggiormente tutelati. La religione ufficiale della Repubblica è l’Islam ma la libertà di professare i tre culti monoteisti (musulmano, cristiano ed ebraico) è garantita dalla Costituzione. Cosa inimmaginabile in Arabia saudita o nel Kuwait “liberato”… A Baghdad, per esempio, si può celebrare la messa, mentre a Riad o a Kuwait city è impossibile. È anzi importante sottolineare come le discriminazioni religiose maggiori siano poste in essere contro gli stessi musulmani (sciiti e, quindi, “concorrenti” di Saddam, che appartiene alla minoranza sunnita). Discriminazioni, comunque, ci sono anche contro i cristiani, soprattutto con trasferimenti forzati nelle regioni del Nord, popolate da Curdi. Inoltre le organizzazioni dei Siri (pari al 20 per cento dei cristiani iracheni, per il resto Caldei) lamentano l’applicazione della legge sull’apostasia, che impedisce la conversione di musulmani ad altre religioni, ma consente ai non musulmani di aderire all’Islam. Per le condizioni economiche fortemente peggiorate dopo la guerra del Golfo e l’embargo, dal 1991 a oggi un sesto dei cristiani è emigrato e circa 30mila Caldei sono stati accolti dalla Giordania. I cristiani in Iraq sono comunque rappresentati in Parlamento con quattro deputati e l’Iraq è l’unico governo di un Paese arabo che ha un vice primo ministro cristiano, il famoso Tariq Aziz. Popolazione: 21.800.000 Superficie: 434.128 kmq Religione: musulmani sciiti: 62,5%; musulmani sunniti: 34,5%; cristiani: 2,7% Numero cattolici: 588.000 INDONESIA Il governo ha chiuso le chiese La Costituzione si astiene dal riconoscere uno statuto costituzionale all’Islam e ammette la libertà di convinzione religiosa.Vi sono limitazioni giuridiche all’ingresso di missionari stranieri nel Paese e leggi che regolano, spesso ostacolandola, la costruzione di luoghi di culto. In Indonesia, d’altronde, convivono 300 razze e decine di religioni diverse, anche se gran parte della popolazione è islamica. Il governo ha anche ordinato la chiusura delle chiese, appellandosi a un decreto ministeriale del 1969 che regola la costruzione di luoghi di culto. Dopo le stragi di cristiani a Timor est, a mantenere alta la tensione c’è la richiesta di indipendenza dell’isola di Aceh, promossa dal Free Aceh movement, organizzazione che ha per obiettivo la costituzione di uno Stato islamico basato sulla shari’a. Dopo l’attacco Usa in Afghanistan, i musulmani dell’Indonesia sono in fermento al punto che l’arcidiocesi di Jakarta ha convocato un summit di emergenza con i capi religiosi. Popolazione: 206.338.000 Superficie: 1.919.317 kmq Religione: musulmani: 87,2%; cristiani: 9,6%; induisti: 1,9%; buddisti: 1%. Numero cattolici: 5.686.000 FILIPPINE Tra convivenza e Abu Sayyaf La Costituzione riconosce de jure la libertà religiosa e il governo la rispetta de facto. L’85 per cento della popolazione è cattolica. I tentativi della popolazione cristiana di stabilirsi in zone di tradizione islamica (le province di Mindanao) hanno provocato risentimento tra i musulmani che hanno visto in ciò un tentativo di privarli di terre e identità religiosa. Anche perché i musulmani si sono sempre trovati in condizione d’inferiorità economica rispetto ai cristiani. La discriminazione religiosa in materia di assunzioni è però illegale e, in molti territori, cristiani e musulmani vivono fianco a fianco. Dopo l’11 settembre c’è stata una recrudescenza nelle attività del gruppo terroristico islamico Abu Sayyaf, legato a Bin Laden, che detiene alcuni ostaggi tra cui i coniugi missionari statunitensi Martin e Gracia Burnham. Il 17 ottobre è stato sequestrato anche padre Giuseppe Pierantoni, 44enne missionario dehoniano. Popolazione: 72.944.000 Superficie: 300.076 kmq Religione: cattolici: 84%; chiesa filippina indipendente: 6,2%; musulmani: 4,6%; protestanti: 3,9% Numero cattolici: 61.109.000 PAKISTAN Divieti e discriminazioni contro i cristiani Qui l’11 settembre si è fatto sentire. Eccome. Monsignor Saldanha, arcivescovo di Latore, si è detto preoccupato per le manifestazioni musulmane contro gli occidentali: «La maggior parte del popolo pakistano oggi simpatizza con i Talebani». Secondo l’arcivescovo, i pericoli maggiori sono nei villaggi, dove c’è minore protezione e i pakistani delle minoranze religiose potrebbero subire ritorsioni: «Speriamo che non ci siano effetti collaterali sui rapporti fra maggioranza musulmana e minoranze». A Karachi il muftì Shamazai (“insegnante” di molti leader Talebani) ha guidato un corteo, chiedendo al governo di fermare ogni collaborazione con gli Usa. Padre Francis, frate minore di Karachi responsabile della provincia francescana in Pakistan, afferma che la popolazione è divisa e teme che i cristiani, identificati con gli occidentali, subiscano ritorsioni. «Siamo cittadini del Pakistan ma temo che, se scoppierà la violenza, sarà difficile da fermare». Per i cristiani la vita non era facile neanche prima. Tre le discriminazioni: il divieto di insegnare catechismo; il sistema elettorale, che costringe i cristiani a votare solo candidati cristiani; la legge sulla blasfemia che punisce tale reato con la pena di morte. Popolazione: 130.579.571 Superficie: 796.095 kmq Religione: musulmani: 95%; cristiani: 2%; induisti: 1,7% Numero cattolici: 1.062.000 SUDAN Un paese insanguinato un paese insanguinato Il Paese è diviso in due: la parte nord musulmana e il sud cristiano-animista. Quando il governo di Khartoum impose la shari’a, le popolazioni del sud si ribellarono, organizzandosi nell’Esercito di liberazione del popolo (Spla). Dopo l’11 settembre la situazione è peggiorata. Un filmato governativo messo in onda da Channel 4 a fine settembre mostra un missile lanciato da un autocarro, con i soldati sudanesi che gridano: «Allah è grande!». L’organizzazione Middle east concern denuncia che Mohamed Saeed, un musulmano convertito al cristianesimo, è stato torturato dalla polizia sudanese mentre, dopo l’11 settembre, sono scomparsi altri convertiti. Le discriminazioni nei confronti dei cattolici durano da anni e il codice penale del Paese stabilisce che chi commette due volte il delitto d’apostasia deve essere punito con la morte. Il governo ha inoltre varato un programma d’educazione elementare in base al quale chi non segue i criteri del Corano non può accedere all’istruzione superiore. E c’è anche chi si appella al governo affinché controlli le compravendite d’immobili dei non musulmani, i viaggi di sudanesi cristiani in occidente e stabilisca l’espulsione dei cristiani stranieri dal territorio nazionale. Popolazione: 28.292.000 Superficie: 2.503.890 kmq Religione: musulmani: 73%; animisti: 16,7%; cristiani: 8,2% Numero cattolici: 2.347.000 Padre Kizito Sesana, missionario comboniano, è uno dei più profondi conoscitori del Sudan. Così spiega a Vita la situazione del Paese: «È vero che in Sudan operano gruppi fondamentalisti musulmani, che in passato hanno anche dato ospitalità a Bin Laden. Ma non sono gli unici. Esistono anche fondamentalisti cristiani, guidati da predicatori che usano la Bibbia come un’arma. Eppure, vi assicuro, nella guerra che si combatte qui la religione c’entra poco. Il problema dei conflitti africani non è quasi mai religioso, ma culturale ed economico. La vera colpevole è la politica». Arrivato per la prima volta nel 1989 sui monti Nuba, a sud del Paese, Renato Sesana si è talmente compenetrato con quella realtà affascinante e difficile da cambiare perfino il suo nome in Kizito, da lui scelto in onore del più giovane martire ugandese, beatificato da Paolo VI nel 1976. Lo raggiungiamo a Nairobi quando si accinge a tornare, dopo sei mesi, sui “suoi” monti Nuba, resi più accessibili dall’apertura di una strada a opera dell’esercito ribelle che dal 1989 si oppone al governo islamico di Karthoum. E ci appare abbastanza sereno, anche se la voce è velata da una preoccupazione più accentuata del solito. Vita: La convivenza tra cristiani e musulmani oggi è sotto osservazione. Si teme lo scoppiare di tensioni da un momento all’altro. Qual è la situazione in Sudan? Kizito Sesana: Nella zona meridionale del Paese, territorio controllato dai ribelli e grande quattro volte l’Italia, gli uomini di Dio sono sempre stati rispettati, a qualunque religione appartengano. La religione in Africa è spesso un fattore che unisce, non che divide. I conflitti sono provocati da altro: dal petrolio, per esempio, di cui il Sudan è ricco e che fa gola a molti. Il governo ha interesse a caratterizzarsi e ad agire come fondamentalista musulmano per tenere sotto scacco il Sud, che è in maggioranza cristiano e animista, perché al Sud ci sono i giacimenti di petrolio. Vita: Eppure il Sudan è stato per anni il covo di Bin Laden… Kizito: È vero, infatti la componente estremista islamica esiste e ha un certo peso all’interno del governo. Ma è stata colpevolmente enfatizzata dai mass media. E poi non dimentichiamoci che in Sudan esiste anche un altro fondamentalismo, quello cristiano, portato avanti da missionari protestanti, soprattutto americani, che in nome della Bibbia si comportano in modo aggressivo e discriminante nei confronti del popolo. È un atteggiamento nemico del dialogo, che io condanno fermamente. Non mi sento certo rappresentato da questi cristiani. Vita: Anche in Africa dopo l’11 settembre molte cose sono cambiate. Per esempio, il Sudan ha aderito all’alleanza antiterrorismo proposta dagli Usa. Kizito: Sì, e ne sono sorpreso. Soprattutto perché di punto in bianco la politica degli Stati uniti nei confronti di questo Paese, che era da tempo inserito nella lista nera dei nemici, è radicalmente cambiato. Le cito solo alcuni episodi significativi che segnano nettamente un prima e un dopo. Visto che da anni i rapporti ufficiali tra i due Paesi si sono interrotti, prima dell’estate gli Stati uniti avevano nominato rappresentante speciale per il Sudan l’ex senatore John Danforth, pastore episcopale e cristiano fondamentalista, non esattamente un tipo diplomatico. Inoltre, gli Stati uniti mantenevano durissime sanzioni economiche contro il governo di Karthoum, e criticavano anche altri Paesi occidentali che invece continuavano a commerciare con il Sudan. Improvvisamente, dopo l’11 settembre, le sanzioni sono cadute, di Danforth non sappiamo più nulla e il Sudan è entrato nell’alleanza antiterrorismo. Vita: Quali potrebbero essere, secondo lei, le conseguenze di un simile atteggiamento? Kizito: Una politica ambigua come questa non potrà che portare, in futuro, a reazioni ambigue e anche pericolose. Non occorre essere indovini per capire che il governo difficilmente rinuncerà, in futuro, a privilegi guadagnati così in fretta e facilmente. Ma gli Stati uniti sapranno, e soprattutto vorranno, mantenerli?


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