È nelle acque dolci che si concentra la componente di vertebrati più a rischio in Italia: su 48 specie di pesci autoctoni dei nostri fiumi e laghi, solo una è fuori pericolo (il cavedano). Le altre sono tutte in forte decremento se non addirittura a rischio estinzione. «Ma molto spesso, se scompaiono delle specie sott’acqua non se ne accorge nessuno», sottolinea Andrea Agapito, responsabile programma Acque WWF. «Se non c’è la macchia nera sul Lambro, come accaduto tre mesi fa, non si percepisce l’urgenza della situazione. Stiamo perdendo anche diverse specie di invertebrati a causa dell’inquinamento, e dell’artificializzazione dei corsi d’acqua. Dai nostri studi, nell’Oasi di Le Bine (una lanca del fiume Oglio) sono scomparse più di 20 specie di coleotteri d’acqua dolce. Stiamo perdendo specie di pesci una volta molto comuni come la tinca, che in molte zone è ormai rara a causa della scomparsa della vegetazione causata dall’inquinamento da nitrati e fosfati. Anche il luccio, specie pregiata dei laghi e delle anse dei grandi fiumi, in molte zone sta scomparendo perché è aumentata la torbidità delle acque». Il luccio è un predatore che ha bisogno di acque pulite, ma viene ormai predato dal pesce siluro, specie alloctona e abituata ai fondali fangosi, che proviene dai grandi fiumi dell’Est europeo: un gigante che può superare il quintale. (L.B.)
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il dossier «Acque in Italia, l’emergenza continua»
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