Non profit
Quei giornali che sognano Genova come una sfilata di moda
Verso il G8: il commento di Giuseppe Frangi
Hanno bellissime facce i modelli che Panorama ha usato sulla sua copertina di settimana scorsa per annunciare il fenomeno sociale dell?anno: i Gi-ottini. Ma non sono l?unica cosa bugiarda di quella copertina: infatti indossano una maglietta anticonsumista, confezionata ad hoc da Panorama stesso. Cioè dal maggiore news magazine d?Italia, di proprietà del maggiore gruppo editoriale italiano, che sulle sue pagine non si fa certo riguardi nell?incitare i lettori ai consumi raffinati, intelligenti ma certamente poco contenuti. Insomma, i Gi-ottini sono già diventati un affaire che fa gola ai fiutatori di trend e agli architetti del marketing. Sempre nella stessa settimana, Lo Specchio, il settimanale allegato alla Stampa di Torino, usciva con un servizio su un tema analogo con un titolo in copertina davvero curioso: «G-8 esclusiva. I contestatori italiani a volto scoperto per Specchio». Ma come? Abbiamo assistito a decine di incontri in vista del prossimo vertice genovese, e non ci è mai capitato di incontrare nessuno con il volto coperto. Che ci sia sfuggito – ci siamo chiesti – un filone sotterraneo di questo fenomeno carsico di contestazione? Poi, ragionando qualche secondo, abbiamo capito: che quel titolo è frutto, anche lui, della maledetta approssimazione con cui i giornali in Italia raccontano la realtà. Certamente è più facile creare la favola di truppe di arrabbiati che con la kefiah al volto si preparano alla guerra di Genova. È più facile e persino un po? romantico, immaginarsi una generazione di ribelli al diktat delle multinazionali. E soprattutto questa è gente che fa trend?
Abbiamo citato due esempi, ma potremmo continuare a raffica (come il maggiore giornale milanese che ha relegato in cronaca cittadina la manifestazione con più di 2mila partecipanti e tanto pubblico rimasto fuori dalla porta, ma ha messo in prima il viaggio, abbastanza folkloristico, di due tute bianche nei paesi baschi per addestrare i compagni euskadi). Ma i giornali italiani hanno questo vizio inveterato: quello di demonizzare la gente normale. Ci sono migliaia di cittadini, madri, insegnanti, operai, preti che si stanno preparando con serietà all?appuntamento di Genova. Che leggono, partecipano agli incontri, discutono, cercano ragioni alla loro indignazione. Ma non fanno notizia, perché hanno la colpa di essere gente normale, più preoccupata di vivere che di apparire.
Le conseguenze di questa censura culturale sono due. La prima è che, nel caso in questione, la contestazione alla globalizzazione sui giornali diventa nella peggiore delle ipotesi un problema di ordine pubblico e nel migliore un allettante fenomeno di moda che piace tanto alle signore bene. Si accendono i riflettori in maniera esasperata sulle frange estreme, e poi ci si stupisce se queste frange estreme danno un triste spettacolo com?è successo a Göteborg (dove per la verità la polizia ci ha messo molto del suo).
La seconda conseguenza riguarda i giornali stessi. Da decenni le tirature dei quotidiani sono incollate a una cifra irrisoria di 5milioni di copie. Eppure i consumi sono saliti, è aumentata la voglia e la capacità di lettura, il pubblico è cresciuto in consapevolezza. Un italiano su 10 continua a vivere senza quotidiani e se si prende in considerazione il fenomeno molto esteso della stampa locale (che ha nelle notizie locali il proprio fondamentale motivo d?acquisto), quel rapporto diventa ancora più drammatico. I giornali sono sempre più autoreferenziali, parlano soprattutto a chi li fa. E non parlano più a chi, nella realtà, fa e a si dà fare. Peggio per loro?
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