Non profit
Quei fund raisernella Milano del 1400
Storie La straordinaria epopea del cantiere del Duomo
di Redazione
È un po’ un’occasione mancata questo bel libro di Martina Saltamacchia dedicato alla straordinaria vicenda costruttiva del Duomo di Milano. In primo luogo avendolo presentato come strenna e come libro d’arte ha un costo alto e una circolazione limitata: invece avrebbe potuto essere un vero (e appassionante) libro di storia. In secondo luogo l’autrice, che per altro ha fatto un vaglio davvero minuzioso dei documenti, troppe volte si lascia andare a un tono apologetico che non aggiunge nulla. La realtà infatti parla da sola. E, come vedremo, parla in modo eclatante.
Il cantiere grandioso del Duomo milanese venne avviato infatti per volontà di un duca, Gian Galeazzo Visconti, nel 1386, ma poi si indirizzò su binari di assoluta autonomia. Quando il Duca, qualche anno dopo, mandò un suo architetto francese di fiducia perché curasse che la nuova cattedrale prendesse anche la fisionomia di un mausoleo di famiglia, i fabbriceri gli diedero il ben servito. Il risultato fu che i Visconti si concentrano su un altro progetto (quello della Certosa di Pavia) e gli eredi di Gian Galeazzo addirittura chiesero indietro delle donazioni fatte dal padre per conto loro quando erano bambini.
È da questa natura “popolare” dell’impresa che nascono idee sorprendenti e innovative sia di raccolta fondi sia di controllo della gestione amministrativa. Il cantiere milanese, gigantesco per dimensioni, aveva bisogno di alimentarsi con un flusso finanziario continuo, per quanto potesse contare anche su una quota di lavoro volontario (che i solertissimi amministratori registrano come “labor pro nihilo”): venne varata una vera e propria organizzazione di “fund raiser” ante litteram che si muovevano sul territorio e che disseminarono i punti strategici di Milano di ceppi e cassette che ogni giorno i passanti riempivano di monete. L’analisi puntuale realizzata da Martina Saltamacchia sulle donazioni dell’anno 1400 dimostra la quota straordinaria di donazioni dal basso che questa organizzazione garantiva. Naturalmente dietro i numeri ci sono storie che varrebbero un romanzo: come quella di Marta de Codevachi che, facendo una cospicua donazione sul registro che teneva conto di ogni flusso di denaro, non nascose la sua professione: “meretrix”.
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