Volontariato

Quattro princìpi per il Servizio civile

di Pasquale Pugliese

Una sentenza incompleta

Come previsto, il Tribunale di Milano ha emanato l’ordinanza che accoglie il ricorso sul bando di Servizio Civile per non essere stato aperto ai cittadini stranieri residenti nel nostro Paese, come previsto dalla sentenza della Corte d’Appello del marzo scorso. Questo bando, rivolto a 15.466 volontari, il numero più basso dal 2005, con una copertura finanziaria complessiva di 65 milioni di euro (la metà del costo di un solo caccia f-35, per fare un raffronto congruente), uscito a due anni di distanza dall’ultimo bando ordinario e ad uno dalla presentazione dei progetti, con un numero di domande presentate ancora incerto, ma calcolato tra le 10 e le 20 volte eccedenti rispetto ai posti disponibili, è già il segno di un sistema al collasso per mancanza di fondi. La sentenza ha aggiunto, riproponendola, la questione del rapporto tra difesa della patria e diritto di accesso al servizio civile dei cittadini stranieri, temi che tiene giustamente insieme, ma attraverso una declinazione debole e incompleta, che non aiuta il necessario rilancio, per tutti, del servizio civile nazionale. Rimane alla politica il compito di darne, invece, una declinazione forte e completa che tenga insieme la realizzazione dei diversi principi.

 Il tribunale di Milano

L’ordinanza del Tribunale, che assume la sentenza precedente della Corte d’Appello, sostiene che il servizio civile nazionale “è svolto su base esclusivamente volontaria (…) e finalizzato a scopi ulteriori rispetto alla difesa della patria con mezzi e attività militari, quali la promozione dei principi di solidarietà e cooperazione a livello nazionale e internazionale, la tutela dei diritti sociali ecc.”. Aggiungendo che “l’attività di difesa della patria è pertanto funzionale anche alla realizzazione del dovere di solidarietà sociale previsto dall’art. 2 Cost cui sono chiamati tutti coloro che risiedano stabilmente nel nostro territorio.” Anche i cittadini non in possesso della cittadinanza italiana. Pur volendo affermare un giusto principio, il tribunale di Milano omette di dire due cose fondamentali;

a. che il primo degli scopi “ulteriori rispetto alla difesa con mezzi e attività militari” è proprio il “concorrere” alla stessa “difesa della Patria” ma “con mezzi ed attività non militari”, come indicato dalla legge istitutiva (64/2001) e dal decreto legislativo (77/2001);

b. che proprio attraverso la realizzazione di quel dovere di solidarietà sociale si esplica – si traduce – la difesa civile della patria.

 La Corte Costituzionale

Su questo è assolutamente chiara, e definitiva, la sentenza della Corte costituzionale n 228 del 2004, firmata dall’allora presidente Gustavo Zagrebelski, la quale afferma che la Costituzione “riserva alla legislazione esclusiva dello Stato non solo la materia “forze armate” ma anche la “difesa”. Quest’ultima previsione deve essere letta alla luce delle evoluzioni normative e giurisprudenziali che già avevano consentito di ritenere che la “difesa della Patria” non si risolvesse soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire una aggressione esterna, potendo comprendere anche attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). Accanto alla difesa “militare”, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben dunque collocarsi un’altra forma di difesa, per così dire, “civile”, che si traduce – principalmente, ma non esclusivamente – nella prestazione dei già evocati comportamenti di impegno sociale non armato”. E’ dunque evidente come l”‘impegno sociale non armato” non sia qualcosa di “ulteriore” rispetto alla difesa, ma la traduzione operativa di una forma specifica di difesa della Patria, detta appunto “civile”.

 L’Ufficio nazionale per il servizio civile

Questo elemento è stato assunto compiutamente, e coerentemente, dai due documenti più importanti sul tema emanati dallo stesso Ufficio nazionale per il servizio civile. Il primo documento del 2006, La difesa civile non armata e nonviolenta a cura del Comitato omonimo di consulenza costituito presso l’Unsc, afferma che la difesa civile “non riguarda esclusivamente una diversa modalità di gestione dei conflitti internazionali, ma costituisce un punto di riferimento anche in relazione alla gestione dei conflitti interni (…) primariamente con riferimento a quelli di carattere sociale”, aggiungendo che “secondo quest’impostazione, il dovere di difesa della Patria può essere letto in senso più ampio di quanto non sia stato fatto finora, identificandolo con la difesa dei valori della Costituzione della Repubblica italiana”. Il secondo documento sono le nuove Linee guida per la formazione generale dei volontari civili, emanate dall’Ufficio nazionale nel luglio di quest’anno, che ribadiscono l’identità del servizio civile in quanto “istituzione deputata alla difesa della Patria intesa come dovere di salvaguardia e promozione dei valori costituzionali fondanti la comunità dei consociati e, quindi, di difesa della Repubblica e delle sue istituzioni, così come disegnate ed articolate nella Costituzione”, aggiungendo che la difesa civile – o difesa nonviolenta – “si riconnette, in primis, al ripudio della guerra, ma poi anche e soprattutto al consolidamento dei legami tra i consociati finalizzato al raggiungimento di una maggiore coesione sociale nel quadro delle libertà garantite dalla Costituzione, alla lotta contro le ineguaglianze e le ingiustizie sociali, alla tenuta/ricostruzione dei legami tra cittadini e tra questi, le istituzioni repubblicane e lo Stato”.

 Quattro princìpi

Il punto critico del sistema, dunque, non è solo la questione “stranieri si” o “stranieri no” ma, più complessivamente, la necessità di rilanciare, a beneficio di tutti, il servizio civile in quanto istituto specifico di difesa civile della patria – conquista irrinunciabile della legislazione italiana, ha scritto il Movimento Nonviolento già lo scorso aprile – a partire da una seria ridefinizione dell’ordine di priorità delle minacce dalle quali la patria ha bisogno di essere difesa. Ossia attraverso la contemporanea e contestuale affermazione di quattro principi complementari:

1. il Servizio Civile è un diritto per tutti coloro – italiani o stranieri residenti in Italia – che intendano svolgerlo e non un privilegio di pochi fortunati (com’è attualmente);

2. il Servizio Civile è un istituto di difesa della Patria alternativo allo strumento militare, ma con esso di pari dignità ;

3. la difesa civile della Patria, a cura del servizio civile, è rivolta alle difesa dalle minacce nei confronti dei diritti costituzionali dei cittadini, non meno importanti della difesa dei confini nazionali, ma concretamente ed effettivamente sotto attacco;

4. la difesa civile non armata e nonviolenta – se adeguatamente preparata – è in grado di concorrere anche alla difesa del territorio da eventuali minacce armate esterne.

 Campagna culturale e politica

Dopo l’ordinanza, la parola passa alla politica che deve elaborare una riforma del SCN che non ne snaturi l’identità, ma piuttosto ne affermi compiutamente e congiuntamente i quattro principi fondanti. Insieme alla condizione preliminare affinché questi principi possano essere davvero realizzati, ossia il trasferimento di congrue risorse dal comporto Difesa, spostandole dallo strumento militare (sempre più incredibilmente vocato all’offesa, anziché alla difesa) allo strumento civile (l’unico a rispondere coerentemente all’art. 11 della Costituzione), per sanare quel rapporto di uno a mille, in quanto a capacità di investimento, tra i due istituti di difesa della patria. Perché questo avvenga davvero non è sufficiente aspettare che il Parlamento si muova, ma occorre l’impegno dei giovani e degli Enti di servizio civile per una forte campagna culturale e politica. Nella quale, naturalmente, sono benvenuti anche i giovani cittadini italiani di origine straniera che, ingaggiandosi in questo impegno, sosterranno un effettivo avanzamento di civiltà per il nostro Paese.

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