Non profit

Quattro mosse per fare bene il bene

La qualità nei servizi offerti è un obiettivo cui anche il non profit deve puntare. Ecco le fasi in cui si può strutturare un processo per valutare cio' che si fa

di Redazione

Il tema della qualità è divenuto sempre più argomento di primario interesse per gli operatori e gli studiosi del privato sociale. Ma cos’è questa tanto declamata qualità? E quali scelte gestionali dovrebbero caratterizzare l’azienda non profit orientata alla qualità? Sintetizzare in poche parole il concetto di “qualità” non è cosa semplice, tanto più se tale nozione deve essere riferita a un prodotto intangibile quale è un servizio. Un modello interpretativo che però può venirci in aiuto, è quello che distingue il concetto di qualità interna da quello di qualità esterna

Qualità interna ed esterna
La qualità interna è data dal divario esistente tra servizio progettato e servizio erogato: minore sarà tale differenza, maggiore sarà il livello di qualità raggiunto. Questo concetto di qualità è strettamente legato al rispetto di particolari caratteristiche produttive del servizio e presuppone il riferimento a standard interni all’azienda, oppure predefiniti da appositi enti di certificazione.
Il concetto di qualità esterna nasce, invece, dal confronto tra le attese del consumatore (servizio atteso) e la sua idea di quanto effettivamente erogato (servizio percepito). Se il servizio atteso risulta inferiore rispetto a quello percepito, il consumatore esprimerà un giudizio positivo sul servizio ottenuto. Se, invece, le aspettative saranno superiori rispetto a quanto percepito, il giudizio sulla qualità del servizio non potrà che essere negativo.
Questi due concetti di qualità non sono l’uno in antitesi all’altro, ma sono tra loro complementari e necessari per garantire il duraturo operare dell’organizzazione. Ogni azienda, infatti, deve essere in grado di fornire un servizio di qualità per l’utente e – al tempo stesso – perseguire la qualità della propria gestione al fine di ottimizzare l’impiego delle risorse economiche e umane. In altre parole, e volendo usare uno slogan, l’obiettivo che si deve perseguire è quello di “fare bene (qualità interna) le cose giuste (qualità esterna)”.
Partendo da queste osservazioni, quale percorso può portare una cooperativa sociale, piuttosto che una fondazione, a impostare le proprie scelte verso maggiori livelli di qualità (grafico in basso)?

Un processo in fasi
Prima fase:
conoscere le richieste dei propri utenti, analizzare le potenzialità e i limiti dell’azienda e definire il servizio che si vuole offrire. La definizione del tipo di servizio che s’intende offrire (il c.d. “che cosa fare”) nasce da due quesiti di fondo:
“Che cosa devo fare?”. Attraverso l’utilizzo degli strumenti tipici della ricerca di mercato, il primo sforzo che si deve fare è quello di comprendere le esigenze dei potenziali fruitori del servizio. In questa fase, un ruolo strategicamente rilevante è ricoperto dal personale di contatto. Quest’ultimo, interagendo quotidianamente con gli utenti, è in grado di capire molto delle loro aspettative e – per tale ragione – può essere un’importante fonte d’informazioni che dal basso possono alimentare i processi decisionali dei livelli organizzativi superiori (la c.d. comunicazione di bottom/up).
“Che cosa posso fare?”. La scelta del servizio che si vuole realizzare dovrà tener necessariamente conto anche della situazione interna all’azienda, sia in termini di risorse economico-finanziarie, sia di competenze e professionalità disponibili. Decidere che cosa fare senza prima aver considerato congiuntamente queste questioni di fondo, significa partire già con il piede sbagliato. Che senso avrebbe, infatti, realizzare in modo eccellente un servizio che però non è in grado di riscontrare un successo nel pubblico di riferimento cui è indirizzato? E che senso ha progettare un servizio che già in partenza l’organizzazione non è in grado di realizzare, considerando le risorse a disposizione?
Seconda fase: individuare quali azioni bisogna realizzare. Una volta stabilito il “che cosa fare”, il passo successivo sarà quello di individuare “il come farlo”. In questa fase gli aspetti da presidiare sono due:
– i processi. Fare un’attenta ricognizione delle azioni necessarie al raggiungimento del risultato finale, individuando la procedura che di volta in volta dà luogo al risultato migliore. Al riguardo, da un po’ di tempo a questa parte, anche la certificazione secondo le norme Iso-Uni sta interessando le aziende non profit e – a riprova di questo – si stanno affermando enti di certificazione specializzati nel settore dei servizi alla persona;
– le risorse umane impiegate. Non basta definire i compiti, ma bisogna creare anche le condizioni operative affinché questi vengano correttamente svolti, motivando e valorizzando tutte le persone coinvolte nell’organizzazione (dipendenti e volontari; personale di contatto e personale di back-office). Questo vuol dire: a) informare tutti gli operatori degli obiettivi perseguiti, aumentando la partecipazione; b) definire in modo chiaro i compiti e le responsabilità (“chi fa, che cosa”); c) promuovere un buon clima relazionale, coinvolgendo gli operatori nelle decisioni e nel lavoro di squadra (gruppi di miglioramento in corrispondenza dei processi critici, circoli della qualità, sistema di suggerimenti individuali, ecc.); d) valorizzare le attitudini di ciascuno; e) realizzare momenti di formazione diffusa; f) monitorare la soddisfazione interna, in quanto il lavoratore/volontario deve essere considerato come un “cliente interno” dell’organizzazione.
Terza fase: comunicare agli utenti quello che si offre loro. Attraverso le scelte di comunicazione esterna (pubblicità piuttosto che azioni promozionali), l’azienda non profit dichiara esplicitamente quanto è in grado di garantire, favorendo così l’allineamento delle attese dei potenziali utenti alle caratteristiche effettive del servizio erogato. Le promesse fatte dovranno quindi essere coerenti con il livello di prestazione che si è effettivamente in grado di fornire: innalzare le aspettative a fronte di una situazione aziendale o un servizio reale non adeguati, vuol dire fallire in partenza e indurre una sensazione d’inaffidabilità.

Il momento di misurare
Quarta fase:
misurare la qualità percepita e i risultati raggiunti. L’analisi delle percezioni degli utenti (misurate attraverso i questionari di costumer satisfaction e/o l’intervento del personale di contatto) fornisce il feed-back per valutare le attività svolte, per capire se le caratteristiche definite in fase di progettazione sono coerenti con le aspettative degli utenti o verificare se sono state percepite correttamente. Dai risultati di questa analisi, il management individuerà il tipo d’intervento da adottare per migliorare i risultati della pro-pria gestione, modificando il tipo di azioni realizzate o il tipo di servizio offerto, nel caso in cui le condizioni esterne (esigenze degli utenti) o interne l’azienda (risorse disponibili) sono nel frattempo cambiate.

Dalla Pianificazione all’azione, un modello fotografa il processo
Il processo lungo il quale un’organizzazione può orientarsi verso il miglioramento continuo può essere efficacemente descritto attraverso il modello PDCA (meglio conosciuto anche come Ciclo di qualità di Deming, dal suo ideatore), che si compone di quattro fasi, che riportiamo di seguito e le cui inziali in inglese compongo la sigla:
Plan – Pianificare: stabilire obiettivi e le azioni da intraprendere per conseguirli;
Do – Fare: attuare le azioni pianificate;
Check – Controllare: controllare i risultati rispetto a quanto stabilito nel piano;
Act – Agire: ripercorrere l’intero processo se il risultato non è stato positivo. Standardizzarlo se, invece, il risultato è stato positivo.

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