Non profit
Quattro milioni per duecentoventimila gruppi
L'Istat fotografa l'Italia senza fine di lucro
Fattura tanto quanto uno dei principali produttori automobilistici europei, ha un “utile”, pari a quello della più grande azienda italiana del settore della ristorazione e dà lavoro a numero di persone maggiore dei dipendenti impiegati nei settori dell’informatica, delle telecomunicazioni e dei servizi avanzati alle imprese. Le cifre, da record, sono quelle del non profit italiano. A fotografarlo è stato l’Istat che ha realizzato il primo censimento delle istituzioni e delle imprese presenti in Italia nel ’99. «Uno dei maggiori problemi che abbiamo dovuto affrontare », spiega Andrea Mancini, direttore del dipartimento economico dell’Istituto nazionale di statistica, «è stato quello definitorio». Adottando la definizione elaborata dalle Nazioni Unite nel ‘93, sono stati censiti tutti gli enti dotati di autonomia decisionale e contabile che producono beni e servizi e che non prevedono l’erogazione di alcun reddito, profitto o altro guadagno finanziario a favore di chi li controlla, li gestisce o li ha costituiti. Il non profit italiano si presenta come un insieme molto diversificato, composto da unità dalle dimensioni più varie. Delle oltre 261mila istituzioni non profit individuate, circa 40mila hanno temporaneamente sospeso l’attività; la metà di quelle attive opera nell’Italia meridionale; i due terzi si occupano di ricreazione, sport e cultura. La crescente sensibilità e attenzione per questo settore è confermata dal fatto che più della metà delle istituzioni, 55 per cento, sono state costituite negli ultimi dieci anni. La forma giuridica preferita è quella dell’associazione, ce sono tra riconosciute e non oltre 200 mila, le cooperative sociali sono 4mila e 600, i comitati 3mila e 800 e le fondazioni poco più di 3mila. In termini assoluti Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, nell’ordine, sono le regioni in cui vi è il maggior numero di enti. Se si tiene conto del numero di istituzioni per numero di abitanti, le regioni da primato sono il Trentino e la Valle d’Aosta. Rispetto al dato complessivo nazionale le attività più frequenti tra gli organismi dell’Italia settentrionale sono quelle della cooperazione e della solidarietà nazionale, al Centro le istituzioni relativamente più diffuse sono quelle sindacali e di rappresentanza di interessi e quelle rivolte alla tutela dei diritti e dell’attività politica.
Al Sud , infine, c’è una prevalenza relativa di istituzioni dedite all’attività di promozione e formazione religiosa. Le persone che a diverso titolo operano nel non profit sono circa- 4 milioni, di questi 630 sono lavoratori retribuiti: 532mila sono lavoratori dipendenti e rappresentano circa il 5 per cento del totale dei lavoratori subordinati in Italia; 80mila sono titolari di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
Nel ’99 le entrate sono state di poco inferiori ai 73mila miliardi, la metà è andata alle istituzioni lombarde e laziali. L’87 per cento degli enti è prevalentemente finanziato da contributi di privati, solo per il 13 per cento l’apporto pubblico è determinante. Le organizzazioni che hanno riscosso di più sono state quelle che si occupano di assistenza sociale, di sanità; gli introiti minori sono invece andati alle istituzioni ambientali e a quelle che si occupano di cooperazione internazionale. Le uscite hanno superato i 68mila e 600miliardi. «In autunno», annuncia Franco Lorenzini, responsabile della ricerca, «l’Istat pubblicherà i dati definitivi e le elaborazioni che permetteranno di avere un quadro più completo e dettagliato».
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