Welfare
Quaranta giudici per difendere gli europei
Il Cancelliere Michele De Salvia spiega a Vita, nella sua prima intervista, come funzionerà il Tribunale incaricato di tutelare i diritti di 800 milioni di abitanti di 40 Paesi.
Dal primo novembre 1998 l?Europa è un po? più unita. Il nuovo passo in avanti verso la costituzione di un?Unione meno astratta e monetaria è rappresentato dalla nuova Corte continentale dei diritti umani. L?organo di Strasburgo si è infatti strutturato in modo permanente, sostituendo di fatto l?ente che era stato istituito più di quarant?anni fa con la Convenzione di Roma. La vecchia Corte e la Commissione dei diritti umani, l?organo istruttorio che svolgeva una funzione di filtro, vengono sostituiti con un punto di riferimento ?di diritto? per gli 800 milioni di cittadini europei. Un tribunale fisso, alla cui direzione, dall?ottobre di quest?anno, è stato eletto un italiano, Michele De Salvia, 58 anni, già cancelliere della Commissione e funzionario del Consiglio d?Europa dal 1965.
«Dall?Irlanda alla Russia, figurativamente da Cork a Vladivostok: questo è il vastissimo bacino d?utenza della rinnovata Corte europea», ci racconta il nuovo Cancelliere in questa sua prima intervista. «Una riforma, quella dell?organo internazionale, che rappresenta un evento di portata straordinaria: si costituisce un diritto comune, supportato da un tribunale permanente, per i cittadini di quella che è diventata di fatto una vera e propria collettività europea, non limitata ai soli Quindici, ma estesa a ben quaranta Paesi». Una comunità diffusa che può contare su un segretariato di 200 persone, su 80 giuristi provenienti da tutti i Paesi e sui 40 giudici permanenti della Corte (uno per ogni Paese, tranne l?Italia e la Svizzera che ne hanno due, avendo la Repubblica di San Marino e il Liechtenstein indicato, rispettivamente, un giudice italiano e uno svizzero). E una comunità che sviluppa un volume a dir poco impressionante di casi: 5 mila i ricorsi all?anno, oltre 12 mila le domande, presentate nelle trenta lingue riconosciute dalla Corte europea. Una Babilonia di culture e Costituzioni, ordinata, però, in base a diritti universalmente riconosciuti.
Cancelliere De Salvia, come si è giunti a questa importante riforma dopo quarant?anni di storia e quarantamila casi trattati, tra cui anche alcuni eclatanti, come il ricorso presentato per Enzo Tortora, fino ad arrivare a quello (respinto) presentato da Charles Spencer, il fratello di Lady Diana?
La Convenzione di Roma del 1958 poggiava, e poggia tuttora, su premesse rivoluzionarie. I diritti fondamentali dell?uomo venivano inseriti in una Convenzione che non solo obbligava lo Stato alla loro piena osservazione, ma che garantiva anche il diritto a fare ricorso per farli valere, oltre alla costituzione di organi preposti a controllare l?effettiva osservanza da parte degli Stati. La precedente scissione in due organi – la Corte propriamente detta e la Commissione -, benché decisamente macchinosa, era stata voluta dagli Stati confirmatari perché non ci si riteneva abbastanza preparati per un organo permanente. Il timore era quello di un possibile uso strumentale e politico della Corte da parte di alcuni Paesi, nel tentativo di allargare la proria sfera di influenza. D?altronde lo strumento giuridico di cui stiamo parlando è davvero potente, con un valore sanzionatorio a livello sovrannazionale. Ma fin dagli Anni 80 si era iniziato a pensare che il Vecchio Continente avesse ormai raggiunto una maturità politica.
Quale pensa che sarà, dunque, il vostro lavoro futuro, soprattutto alla luce delle difficoltà organizzative che ancora riguardano i Paesi dell?Est europeo, da poco entrati nella ?giurisdizione? della Corte e con governi di fatto ancora giovani?
Questa è la vera incognita del lavoro che ci apprestiamo a fare: quale sarà, per esempio, l?impatto diretto con un Paese popoloso e ancora in fase d?assestamento come la Russia? Nei Paesi dell?Est, infatti, se formalmente sono state modificate quelle leggi che contrastavano con i diritti fondamentali, di fatto rimane il problema dell?effettiva procedura giudiziaria. È una questione soprattutto economica: per esempio la maggioranza di questi Paesi è impossibilitata ad adeguare a breve giro il proprio sistema detentivo.
Comunque sia, e stiamo sempre parlando a livello di forma, alla quale spero faranno rapidamente seguito i fatti, la nuova Corte rappresenta l?elaborazione di un diritto pretorio a livello europeo. Un diritto comune che rispecchia, in nuce, quello che sarà l?effettivo vivere in una collettività che condivide la stessa concezione dei diritti fondamentali. E, credetemi, non è poco.
Dal generale al particolare: l?Italia risulta essere il Paese che è stato più sanzionato dalla Corte: un record di101 condanne in quarant?anni d?attività. Quali sono i casi che hanno permesso al nostro Paese di ottenere la ?Palma d?oro??
È quasi inutile dirlo, perché la ?specializzazione? del nostro Paese è ormai famosa ovunque. La stragrande maggioranza delle denunce effettuate contro lo Stato italiano riguarda le lungaggini dei processi nostrani. Una casistica che non prevedo possa diminuire nei prossimi anni, per cui è ipotizzabile che, con il nuovo corso, l?Italia sarà ancora più sanzionata. Ed è un vero peccato – e non lo dico per patriottismo o altro -, perché ritengo che il diritto italiano sia di ottimo livello.
Per dare un?idea ai lettori di ?Vita?, quali sono i casi per cui un cittadino può interpellare la Corte europea dei diritti umani?
La casistica di cui ci occupiamo è la più varia, e investe tutti i settori del diritto – dal civile al penale, a quello amministrativo – quando hanno a che vedere con i diritti fondamentali dell?uomo. In questa vastità di casi, comunque esiste una tendenza ben precisa che riguarda circa la metà delle domande che ci arrivano. Si tratta delle tematiche inerenti all?equa procedura del processo penale nel proprio Paese d?origine: dall?illegittima detenzione preventiva all?irragionevole durata dei procedimenti giudiziari.
Molti altri casi riguardano, invece, la richiesta di protezione contro il trattamento disumano nelle carceri nazionali; oppure ancora, la libertà d?espressione e il diritto alla privacy. Una volta constata l?effettiva violazione, la Corte sanziona lo Stato di riferimento, che dovrà dunque pagare una riparazione pecuniaria nei confronti della vittima.
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