Economia
Quanto può essere commerciale il Terzo settore?
In un campo tradizionalmente governato da logiche burocratiche e da logiche di cura, declinate nelle diverse specializzazioni professionali, ora fanno il loro ingresso anche logiche commerciali. Con quali conseguenze? L'intervento della sociologa dell'università Cattolica, dalla rubrica che ogni mese tiene su VITA Magazine
di Ivana Pais
“Io non sono un commerciale”. È un’affermazione che ricorre nelle interviste a educatori, assistenti sociali, operatori socio-assistenziali coinvolti in progetti di riorganizzazione dei servizi di welfare attraverso piattaforme digitali. Queste infrastrutture stanno facilitando l’ampliamento del bacino di riferimento per organizzazioni del terzo settore che in passato si rivolgevano ai beneficiari dei servizi sociali e ora anche a cittadini che accedono agli stessi servizi in una logica di mercato. Il rafforzamento della dimensione di mercato risponde a esigenze della domanda, con l’allargamento della cosiddetta area grigia di utenti, e a necessità di riposizionamento dell’offerta, a seguito del taglio dei finanziamenti pubblici al terzo settore. In mezzo, ci sono gli operatori che devono gestire questa trasformazione.
In un campo tradizionalmente governato da logiche burocratiche e da logiche di cura, declinate nelle diverse specializzazioni professionali, ora fanno il loro ingresso anche logiche commerciali. Le logiche istituzionali prescrivono come interpretare la realtà organizzativa e definiscono che cosa costituisce un comportamento adeguato. La tensione tra logiche non è transitoria ma costitutiva dei modelli organizzativi basati su piattaforma. Finora l’attenzione si è concentrata prevalentemente sulle resistenze culturali legate ai rischi di mercificazione delle relazioni di cura e di passaggio da un’economia di mercato a una società di mercato. Il dibattito sui limiti morali del mercato merita ulteriore approfondimento ma a questo è urgente collegare una riflessione sulle configurazioni organizzative utili a favorire il mantenimento di un equilibrio dinamico tra le diverse logiche. Ci sono organizzazioni che costruiscono strutture interne differenziate in base alla logica istituzionale, altre che invece promuovono strutture ibride. In questo secondo caso, la differenziazione può comunque passare dall’individuazione di figure professionali dedicate oppure dall’ampliamento delle competenze di figure tradizionali. A ogni configurazione, corrispondono sfide organizzative diverse: dal lavoro di ‘confine’ tra professioni alla ridefinizione delle identità professionali. Per governare queste dinamiche, alla moda del design delle figure professionali sarebbe opportuno affiancare una maggiore attenzione al design delle organizzazioni in cui andranno a operare.
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