Formazione

Quanto costano davvero i prof

Gli stipendi si mangiano il 97% del bilancio della Pubblica istruzione? Non è vero. Letizia De Torre ha rifatto i conti. E ha scoperto che la vera percentuale è il 73,8%...

di Maurizio Regosa

Sul numero di Vita Magazine in edicola un’inchiesta sui costi reali del Ministero dell’Istruzione. All’interno dello stesso servizio, una lunga intervista a Marco Imarisio sulla scuola che nessuno oggi ci racconta. Mentre due prof danno le loro ragioni per scioperare o per non aderire alla protesta del 30 ottobre.

«Non è vero che il ministero della Pubblica istruzione impiega il 97% delle risorse per il personale. È un pretesto per giustificare i tagli. In realtà, se si leggono correttamente i dati forniti dallo stesso ministero, si vede che la quota per gli stipendi rappresenta il 73,8%». Così l’onorevole Letizia De Torre (Pd), che dalla scuola proviene e che fa parte della commissione Cultura, scienza e istruzione. Contesta anche che la spesa per l’istruzione sia fuori controllo: «Negli ultimi dieci anni la quota del Pil assorbita dalla scuola è scesa mentre è aumentato il numero degli studenti, più 2%, e calato quello degli insegnanti, meno 2,38%».
Cifre che fanno la differenza. Tanto più nel caso di una riforma lanciata senza un vero e proprio dibattito, con un iter che è parso piuttosto rapido, per dirla con un eufemismo. Introdotta a stretto giro dopo il documento economico finanziario, l’innovazione targata Gelmini non ha brillato per condivisione. E questo ha il suo peso, come sottolinea De Torre: «Esaspera anche la modalità con cui sono stati avanzati i cambiamenti. I sindacati sono stati convocati una volta sola; le associazioni professionali chiamate a giugno e poi più sentite… Non c’è confronto nemmeno dentro il Parlamento. In commissione è arrivato il piano d’attuazione della manovra: è scritto in modo molto criptico». C’è di che inquietarsi. Moltissima preoccupazione ad esempio si addensa attorno alle 40 ore del tempo pieno. Il premier e la ministra rassicurano, ma nel decreto si fa riferimento esplicito alle 24 ore (e si menzionano vaghe «esigenze correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola»).
Paradossalmente però mentre il governo conferma il suo appeal pragmatico, dando in pasto scelte concrete a un Paese affamato di decisioni, le ragioni di chi difende la scuola finiscono con l’assumere i toni della conservazione. «Non si tratta di dire “la scuola non si tocca”», si schermisce la deputata-insegnante, «al contrario: la scuola va continuamente “toccata”. Anche il Quaderno bianco messo a punto dal governo Prodi e al quale anche la Gelmini fa riferimento, andava verso una riforma. Pensando a una sperimentazione in alcune province e poi valutando se estenderla all’intero Paese. Il governo attuale ha uno stile molto diverso… Non c’è trasparenza…». Un riferimento forse alla mozione della Lega. Presentata per le classi ponte, poi d’inserimento, appoggiata dal Pdl e contestata anche dal Secolo d’Italia , il giornale di An. «Mi chiedo come mai il ministero permetta un dibattito così disgregante», conclude De Torre, «invece di mettere in atto il piano sull’insegnamento ai ragazzi stranieri: è già finanziato. Sono però preoccupata da un’altra cosa: senza che ci si accorga, sta venendo meno l’opzione inclusiva della scuola italiana…».


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