Economia
Quanto costa lo stile di vita americano
La nazione più potente del mondo per mantenere la propria egemonia deve alzare il livello dei propri consumi
Gli americani possono trattare su tutto, ma il loro stile di vita non è negoziabile», parole di George Bush senior, ex presidente degli Usa e padre dell?attuale. Parole chiarissime, che centrano la questione storica cruciale del nostro tempo, come ha sottolineato padre Zanotelli parlando davanti al pubblico foltissimo di Civitas. Intendiamoci, l?affermazione di Bush non nasconde solo una necessità di consenso all?interno dell?elettorato americano. No, rispecchia uno stato di necessità, in cui la nazione più potente del mondo per mantenere la propria egemonia deve alzare continuamente il livello dei propri consumi. Più divora energie, più rinsalda il suo primato in tutti i campi nevralgici, dalla ricerca alle armi. Per difendere questo status, Bush negli ultimi mesi si è trovato a sostenere una politica protezionista che è partita dall?acciaio (30% sull?import) e che ora è arrivata al sostegno dell?agricoltura (cinque miliardi di dollari di sostegni per i prossimi sei anni). La potenza globalizzatrice per antonomasia alza barriere e affonda il credo del libero scambio! Paradossi del nostro tempo.
La domanda più ragionevole che ci si può porre davanti a un simile paradosso è la seguente: ma chi paga la difesa della ricchezza e della potenza americana? Chi paga la difesa di uno stile di vita, il nostro stile di vita, ?non negoziabile??
Una risposta l?ha data per esempio Horst Koehler, numero uno del Fondo monetario internazionale, in visita in Burkina Faso. Facendo un po? di conti ha scoperto che i sussidi concessi ai lavoratori del cotone americani superano la produzione di cotone dell?intera Africa subsahariana (e per onestà di cronaca lo stesso discorso potrebbe essere fatto sull?Europa e i suoi sussidi ai produttori di zucchero). I risultati sono quelle cifre terrificanti snocciolate dagli esperti, che non spostano mai nessuna decisione politica. Come ricorda Luca De Fraia, già portavoce della campagna Sdebitarsi-Jubilée 2000, commentando la pubblicazione dei World Development indicators 2002, il rapporto della Banca mondiale in cui vengono analizzati i progressi fatti dai Paesi poveri. «All?appello di Kofi Annan per raccogliere altri 50 miliardi di dollari da investire per lo sviluppo», ricorda De Fraia, «il Nord si è impegnato per poco più di un quarto di quanto necessario, dimenticandosi che attraverso la restituzione del debito il Sud ripaga quasi otto volte quanto oggi viene concesso a titolo di assistenza. Colpisce il destino dell?Africa dove il numero delle persone che vivono sotto la soglia di reddito di un dollaro al giorno aumenterà da 300 a 345 milioni da qui al 2015».
Davanti al paradosso disumano di ingiustizie di queste dimensioni, le grandi potenze si preoccupano di organizzare il prossimo G8 in modo che sia assolutamente inattaccabile, in uno sperduto e irraggiungibile paesino del Canada, unito all?aeroporto da un?unica autostrada di 130 chilometri. Soluzione un po? grottesca per difendere i simboli di un mondo che non vuole riconoscere di essere assediato dal suo stesso benessere.
Ps: mentre stiamo per chiudere in tipografia, giunge la notizia che l?Italia avrebbe rinunciato a ospitare i 13 dei palestinesi asserragliati nella Basilica della Natività. Terroristi o no, era un?occasione per tornare a dire qualcosa in uno scenario che sfiora anche i nostri confini. L?ultima parola non è ancora detta. E il fatto che dietro la trattativa ci sia un personaggio dell?esperienza come Andreotti lascia comunque sperare. Perché sarebbe tristissimo un Paese che si illude di difendere il proprio futuro solo innalzando barriere.
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