Politica

Quanto costa il referendum?

La domanda dell'on Volonté al Governo. Risposta: quasi 365 milioni di euro. E se si raggiunge il quorum...

di Redazione

“La mia interrogazione parlamentare non intendeva assolutamente mettere in discussione il principio costituzionale della consultazione referendaria. Quanto piuttosto sottolineare un problema di costi su cui forse, a bocce ferme, andra’ fatta qualche pacata riflessione tecnica”. Il capogruppo dell’Udc a Montecitorio Luca Volonte’ spiega meglio il senso della sua richiesta di chiarimenti tecnici al Governo in materia di referendum; sulla quale ha risposto oggi in aula il ministro per i Rapporti col Parlamento Carlo Giovanardi. Il presidente dei deputati del Biancofiore ha domandato infatti all’esecutivo di quanto gravi sul bilancio statale ogni plebiscito; e a quanto ammonti il rimborso previsto per i comitati promotori dello stesso. Ne e’ venuto fuori che al momento ogni chiamata alle urne per dire si’ o no ad uno o piu’ quesiti comporta una spesa di circa 700 miliardi delle vecchie lire (364.819.450 euro). E che in caso di raggiungimento del quorum (50 per cento piu’ uno degli aventi diritto) chi ha lavorato perche’ si svolgesse la consultazione riceve 1.032.953 euro. Corrispondenti in pratica a mille delle vecchie lire per ogni firma valida raccolta, fino al conseguimento della cifra sufficiente a chiedere alla Corte di Cassazione di autorizzare il referendum. “Io ho voluto semplicemente evidenziare – aggiunge l’esponente dei centristi di maggioranza – che ogni referendum pesa sulle casse pubbliche, ma che negli ultimi anni raramente queste consultazioni hanno raggiunto il numero di adesioni nelle urne sufficienti a renderli validi. In piu’ mi e’ sembrato utile ricordare che, accanto alla rispettabilissima motivazione ideale, chi lavora per promuovere questi plebisciti non lo fa a fondo perduto. A patto ovviamente che poi il referendum raggiunga il quorum. Tutto qui. Senza polemiche e senza interpretazioni maliziose”. Volonte’ fa capire pero’ che esiste a suo avviso un questione di fondo su come regolare l’istituto referendario in modo che non si riveli un esercizio reiterato, estenuante e spesso sterile. In questo senso cita (ma non per questo sposa a priori) alcune ipotesi circolate in passato, anche in occasione di dibattiti legislativi sul nostro impianto costituzionale. Come ad esempio quella che profilava la possibilita’ di alzare ad un milione il numero di firme necessarie per indire un referendum. Una cifra secondo molti piu’ congrua per poter ipotizzare un corrispondente coinvolgimento degli elettori non marginale e quindi improduttivo.


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